11 milioni di italiani a rischio povertà, +15% in 7 anni. E la pandemia aggrava la crisi

L’emergenza sanitaria ha contribuito ad acuire la crisi e ampliare la platea di persone in difficoltà, dice Unimpresa

Cresce il numero delle persone in difficoltà economica in Italia. Una situazione strutturale in cui la crisi causata dalla pandemia di Coronavirus diventa una pesantissima aggravante. Gli italiani e le italiane a rischio povertà, secondo il Centro studi di Unimpresa, sono circa 11 milioni. Ci sono 4 milioni di disoccupati e 6,7 milioni di occupati in situazioni instabili o economicamente deboli. Il dato è inerente alla fine dell’anno che si è appena concluso e vede un aumento di 1,6 milioni di persone se comparato a un report analogo del 2015: si tratta di un aumento del 15%. Il Centro studi dell’associazione ha elaborato dati dell’Istat sull’anno 2021: spiega che l’area di disagio sociale coinvolge 10 milioni e 805 mila italiani e italiane. Nel 2015 erano 9,2 milioni.


Chi sono

Quindi alle 4 milioni di persone in disoccupazione bisogna aggiungere chi ha un contratto a tempo determinato, le 925 mila persone che lavorano part time e chi invece – 2,1 milioni – full time, insieme ai lavoratori autonomi part time (711 mila italiani e italiane, i 225 mila collaboratori e i 2,7 milioni di contratti part time a tempo indeterminato. Si tratta di un gruppo di lavoratori e lavoratrici che hanno però un futuro incerto o che vengono retribuiti in maniera evidentemente limitata. E sono 6,7 milioni di persone precari o economicamente deboli, che vanno ad aggiungersi a tutte le persone che in Italia sono in crisi.


«Nel pieno alla pandemia globale, il Covid ha messo in evidenza che, di fronte alle tragedie e ai disastri, si deve reagire sempre, da un lato cercando di non fermare mai l’attività d’impresa, perché il motore dell’economia è essenziale per la vita dei cittadini, dall’altro pensando sistematicamente alla solidarietà verso i più deboli. Impresa e solidarietà sono un binomio sul quale, sin dalle sue origini, Unimpresa ha fondato la sua ragion d’essere, consapevole che il profitto vada ricercato ed è certamente un elemento positivo, ma chi lo persegue ha l’obbligo di tutelare chi si trova in situazioni di disagio sociale», spiega il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi.

«Penso, in questo senso, ai tanti amici imprenditori che hanno raggiunto brillanti risultati ed eccellenti traguardi con le loro attività, ma, al contempo, non hanno mai smesso di donare a chi aveva bisogno. L’etica d’impresa è questa: la consapevolezza di avere il dovere di restituire alla collettività, con l’obiettivo di contribuire a ridurre le disuguaglianze sociali. Disuguaglianze che la pandemia, purtroppo, sta ampliando sempre di più ed ecco che il contributo della solidarietà avrà un ruolo rilevante, nei prossimi anni, per ridurle», dice ancora Longobardi.

«Questa amplissima fascia della nostra popolazione in difficoltà è destinata a crescere significativamente nel prossimo futuro. Del resto, gli strumenti varati negli ultimi anni con l’obiettivo dichiarato di «abolire la povertà» si sono trasformati – com’era forse nella malcelata intenzione di chi li ha proposti – in formidabili strumenti di propaganda elettorale: sussidi pubblici che poi diventano moneta di scambio elettorale», spiega riferendosi al reddito di cittadinanza.

In copertina EPA/VALDRIN XHEMAJ

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