Panetta (Bce): «Bisogna far finire la guerra in Ucraina per ridurre l’inflazione»

Il componente italiano del board di Francoforte: una restrizione monetaria volta a contenere l’inflazione finirebbe per colpire una crescita già in calo

«Sostenere l’Ucraina e impegnarsi perché la guerra finisca in fretta è anche il modo più efficace per ridurre rapidamente l’inflazione». Lo dice oggi Fabio Panetta, componente italiano del board esecutivo della Bce, in una intervista rilasciata a La Stampa. Per Panetta attualmente «l’evoluzione dell’economia è dominata dalle vicende della guerra. Gli choc globali emersi a seguito della pandemia – il rincaro dei prodotti energetici, le strozzature all’offerta di beni – sono stati rafforzati dall’invasione dell’Ucraina. Le tensioni sono divenute persistenti e si sono acuite: l’inflazione è in aumento, mentre l’attività produttiva mostra segni di fiacchezza. Questo rende le scelte della Banca centrale europea più complicate, poiché una restrizione monetaria volta a contenere l’inflazione finirebbe per colpire una crescita già in calo».


L’economia europea, spiega Panetta nel colloquio con Marco Zatterin, «di fatto ristagna. Nel primo trimestre la crescita è stata dello 0,2 per cento, e senza i picchi registrati in alcuni Paesi – che potrebbero essere in parte ‘una tantum’ – sarebbe stata nulla. Le maggiori economie soffrono: il Pil decelera in Spagna, è fermo in Francia e in calo in Italia. In Germania la dinamica è contenuta e mostra un indebolimento da fine febbraio, l’attimo in cui tutto è cambiato». E per di più «l’inflazione è alimentata da fattori internazionali che riducono il potere di acquisto e indeboliscono la domanda per consumi e investimenti. I margini di manovra della politica monetaria per influire su questa inflazione importata sono limitati, dobbiamo ammetterlo. Il motore dell’inflazione è globale, non europeo». Ma secondo il consigliere di Francoforte non è necessario sostenere la valuta: «Il cambio dell’euro lo decide il mercato. Inoltre, gli choc che stiamo subendo sono talmente grandi che qualche punto percentuale di apprezzamento del cambio non cambierebbe granché. Senza considerare che un euro forte peserebbe sulla domanda estera, danneggiando ulteriormente la crescita».


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