Delitto Mollicone, assolti tutti gli imputati. La sentenza dopo 21 anni di attesa

L’ultimo capitolo di una vicenda giudiziaria durata 50 udienze

Dopo 21 anni, è arrivata la sentenza per il delitto di Arce. I giudici della Corte di Assise di Cassino hanno assolto tutti i cinque gli imputati. Non sono state accolte le richieste della Procura che aveva chiesto una condanna a 24 anni per Marco Mottola, a 30 per il padre Franco, ex comandante della caserma, e 21 anni per la moglie Anna Maria. I tre sono stati quindi giudicati estranei alla morte di Serena Mollicone, avvenuta il primo giugno del 2001. Oltre a loro, sono stati assolti anche Vincenzo Quatrale, all’epoca vicemaresciallo, accusato di concorso esterno in omicidio, e l’appuntato Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento.


Il movente dell’omicidio di Serena

«Ho massimo rispetto verso l’istituzione della magistratura», ha detto ieri l’avvocato Dario De Santis. «Quello di domani è un momento importantissimo per questa vicenda». De Santis è lo storico legale di Guglielmo Mollicone, deceduto nel giugno del 2020 alla viglia del rinvio a giudizio degli imputati per la morte di sua figlia Serena. La 18enne era stata trovata morta in un bosco vicino alla caserma di Arce, in provincia di Frosinone. Guglielmo non aveva dubbi: a uccidere Serena per lui erano stati i Mottola. Secondo la sua versione, sua figlia voleva denunciare le attività di spaccio di Marco. I due avevano frequentato per un certo periodo la stessa comitiva. Che fosse un consumatore e venditore abituale di hashish era stato poi confermato dalle indagini dei carabinieri, e anzi ne custodiva un po’ anche in caserma.


La testimonianza del barbiere

Una vicenda giudiziaria durata 50 udienze, fino a quello che sembrava poter essere un colpo di scena decisivo. Un barbiere della zona raccontò che quel 1° giugno aveva tinto i capelli di Marco Mottola. Per questo motivo alcuni testimoni lo avevano descritto «biondo con le meches» nonostante fosse castano scuro. Inoltre, sostiene anche di aver tagliato i capelli dell’imputato prima del funerale della 18enne, richiesta avanzata da Mottola probabilmente per depistare i testimoni. La testimonianza venne però rigettata dalla corte, che l’aveva ritenuta superflua. «Questo è un processo indiziario, sarebbe un’ingiustizia condannare gli imputati», ha decretato il l’avvocato difensore della famiglia Mottola, Mauro Marsella, nel suo intervento finale.

L’arma del delitto

La prova più importante per l’accusa è la porta della caserma dei carabinieri di Arce dove alloggiavano i Mottola. Anche in questo caso, il punto di partenza fu una testimonianza. Il brigadiere Santino Tuzi, poi suicida, aveva detto di aver visto Serena entrare in caserma nella mattina di quell’1 giugno. Indagando, i pm Beatrice Siravo e Carmen Fusco hanno poi riscontrato alcuni segni sulla presunta arma del delitto. Fatta analizzare dai carabinieri dei Ris e dall’Istituto di anatomopatologia Labanof di Milano, è risultata una perfetta corrispondenza tra la forma del cranio di Serena, ricostruito in 3D, e la frattura sulla porta.

Inoltre, tra i capelli della vittima erano stati trovati frammenti di legno. La difesa, però, contesta sia il modo con cui sarebbe stato condotto l’esperimento (con la porta appoggiata in orizzontale) sia la compatibilità con l’altezza del punto d’impatto. Per l’avvocato Marsella, la ferita alla tempia di Serena sarebbe dovuta a un altro tipo di corpo contundente. E quel buco sulla porta sarebbe solo un pugno di Franco o Marco Mottola, in seguito a una lite. Quella porta fu infine ritrovata nel bagno dell’alloggio di Suprano, forse un modo per distoglierla dall’attenzione degli inquirenti.

L’1 giugno 2001

Secondo le ricostruzioni, Serena entrò in caserma intorno alle 11. Ad aggredirla fu Marco Mottola, in seguito a una lite della quale si hanno due testimonianze. Tramortita, dopo quattro ore Franco Mottola avrebbe deciso di soffocarla. Legata e incappucciata, è stata infine portata nel bosco di Anitrella tra mezzanotte e l’una, aiutati dalla moglie Anna Maria. Serena sarebbe quindi stata uccisa in caserma, tenuta nascosta su un balcone fino a sera e poi caricata nel portabagagli della Lancia K dei Mottola che il maresciallo sostiene di aver rottamato (anche se non c’è traccia documentale). La difesa ha sempre ritenuto non credibile la testimonianza di Tuzi sull’ingresso di Serena in caserma e contesta la mancanza di Dna dei presunti assassini sui nastri usati per legare Serena.

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