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Professore a 22 anni senza laurea, la storia di Matteo: «Chiamato da una mamma per sopperire alla mancanza di docenti»

23 Settembre 2022 - 11:57 Antonio Di Noto
Grazie alla Mad (messa a disposizione) sono moltissimi i supplenti senza concorso, né laurea che lavorano nelle scuole. Un fenomeno che interessa soprattutto il Nord

Professore a 22 anni. Al terzo anno di una laurea triennale in fisica, con ancora diversi esami da dare e una tesi tutta da scrivere, Matteo, classe 1999, ha già alle spalle un anno da docente di matematica in un istituto tecnico pubblico di Milano. «Quando entravo in classe per la prima volta gli studenti non ci credevano», ha raccontato ad Open. «Mi chiedevano se fosse uno scherzo. Era difficile farglielo capire, ma alla fine se la mettevano via. “Sono il tuo professore e va così che tu ci creda o no“, dicevo loro». Effettivamente, quella di Matteo è una storia sorprendente, ancor di più se si considera che i suoi nove mesi da docente sono stati svolti quando lui era al secondo anno di triennale, e che prima di quella scuola Matteo ne aveva rifiutate altre due. Ora si trova nella stessa situazione in cui era l’anno scorso. «Sono ancora disperati», spiega ridendo. Ma non sa se accetterà, «è stata una bella esperienza», dice, «però vorrei anche concentrarmi di più sullo studio, sto ancora scegliendo».

Matteo ha ricevuto la chiamata dalla madre di uno studente dell’istituto, e non dall’ufficio scolastico come di solito avviene, senza che avesse partecipato a nessun bando, senza che il suo nome apparisse in nessuna lista. Il problema nasce con le graduatorie. Queste sono ordinate per importanza, spiega ad Open la segretaria generale di Cisl Scuola Ivana Barbacci. «Prima vengono quelle d’istituto, poi quelle delle scuole vicine, poi quelle provinciali, e infine si procede per messa a disposizione (Mad)», racconta Barbacci. Grazie a una Mad ci si può candidare a docente o personale Ata in un istituto scolastico. Quando anche queste terminano, «i dirigenti indicono dei “bandi” autonomi» come possono, «spesso su Facebook», per incentivare potenziali docenti a inviare una Mad. In questo caso, il passaparola è arrivato fino a Matteo. Per le prime due scuole – quelle dove ha scelto di non insegnare – si trattava di una sorta di catena di Sant’Antonio su Whatsapp. Per la terza – dove poi Matteo è andato a insegnare – a invitarlo all’invio di una candidatura è stata appunto la madre di uno studente. A quel punto Matteo, convinto, ha contattato la scuola e ha inviato la sua messa a disposizione.

Cosa sono e come funzionano le messe a disposizione?

Ma cosa sono di preciso queste Mad? Su Open ne avevamo già parlato. Si tratta di una strada alternativa a concorsi e graduatorie per entrare nel mondo dell’insegnamento. Tramite le Mad, aspiranti insegnanti e membri del personale Ata possono inviare una candidatura spontanea all’istituto nel quale vorrebbero lavorare. La procedura può essere messa in atto quando tutte le graduatorie, quelle regionali, di istituto, di circolo, e provinciali vengono esaurite senza che venga individuato un docente idoneo e disponibile a insegnare nell’istituto dal quale riceve la chiamata.

Tutto ciò è possibile perché «ciò che bisogna fare quando le graduatorie si esauriscono non è codificato», ha spiegato a Open Antonello Giannelli, presidente della Anp (l’Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola). Superata la fase delle graduatorie, «non ci sono più regole» ribadisce il dirigente tecnico del Miur, aggiungendo che «l’unica regola che rimane è che bisogna mandare qualcuno a fare lezione». Tantomeno – precisa il presidente – esistono criteri universali per la selezione dei candidati supplenti. Open non è riuscito a trovare dati precisi, sull’impatto del fenomeno. A riguardo, Giannelli assicura che «è molto diffuso». Dove? «Al nord molto più che al sud, tanto che è molto probabile che la maggior parte delle scuole della periferia di Milano ne abbia fatto uso», aggiunge il presidente dell’Anp. In effetti, la carenza di docenti è più accentuata nel settentrione che nel meridione. La possibilità di assumere docenti tramite le Mad, però, non fa parte dell’autonomia scolastica in vigore dal 2000, che interessa per lo più l’ambito didattico e organizzativo e «non comprende la scelta dei docenti», conferma Giannelli.

La carenza di insegnanti nella scuola italiana

Alla base della storia e del fenomeno che rappresenta c’è la cronica carenza di insegnanti di cui soffre la scuola italiana, alla quale si sono sommate ulteriori difficoltà negli ultimi anni. «Con quota 100 abbiamo dovuto affrontare un cambio generazionale» spiega Barbacci. «Moltissimi insegnanti sono andati in pensione e devono essere sostituiti, ma i tempi non sono stati asserviti ai bisogni», continua. «I concorsi richiedono tempo, le prove dei candidati professori devono essere valutate da docenti di ruolo e in Italia ce ne sono sempre meno» spiega la sindacalista. A questo si somma il fatto che i docenti devono correggere le prove a margine del servizio ordinario, dal quale non vengono esentati per portare a termine il compito.

I dati: mancano 150 mila docenti

Le parole di Barbacci sono confermate dai numeri. Secondo i dati diffusi da Tuttoscuola i bandi di quest’anno avrebbero dovuto coprire 55 mila cattedre, ma al primo di settembre solo 31 mila di queste sono state occupate, ovvero il 56%. Non solo i posti banditi non sono stati coperti del tutto, ma ce ne sarebbero molti altri che non sono stati banditi. In totale i docenti da trovare in Italia sono 200 mila, secondo i sindacati. I 150 mila di differenza vengono coperti sistematicamente da supplenze, continua la denuncia. Nello specifico, per la scuola secondaria sono stati bandite 26.871 cattedre, ma solo 13.743 hanno trovato chi vi sieda. Il discorso è simile per il concorso indetto specificamente per le materie Stem, che ha assegnato soli 582 posti dei 1.685 disponibili. Le sigle sindacali, inoltre, denunciano la discrepanza territoriale tra nord e sud: la maggior parte dei posti vacanti è al nord, e in alcuni casi questi potrebbero essere presi da laureati del sud, che però tendono a non trasferirsi per le ingenti spese che l’operazione comporta.

«La metà dei miei colleghi era supplente»

Che gli insegnanti di ruolo siano pochi è confermato anche da Matteo. Una volta entrato a far parte del consiglio di classe, ha scoperto che «i colleghi erano per il 50%, circa, docenti di ruolo, e per l’altra metà supplenti». Arrivato in corsa, a novembre 2021, Matteo non ha avuto modo di coordinarsi con tutti i suoi colleghi. «Le tempistiche dei consigli di classe e degli scrutini danno per scontato che tutto il personale ci sia dall’inizio, ma così non è stato», racconta.

Le tempistiche strette hanno avuto un altro effetto spiacevole. Tra gli alunni di Matteo c’era anche una studentessa disabile. «Ma nessuno me lo aveva detto», spiega lui, raccontando di averla trattata al pari di tutti gli altri, tanto da averle assegnato un 4 in una verifica che non era riuscita a svolgere in maniera sufficiente. Solo in quell’occasione – dopo settimane di insegnamento – è stato detto a Matteo della condizione della ragazza. Lei aveva un insegnante di sostegno, ma non durante le mie ore. «In ogni caso per via dei tempi concitati non siamo mai riusciti a incontrarci», spiega Matteo.

Colpa dell’istituto? No, secondo Matteo: «La situazione è stata difficile, ma non è colpa loro. Hanno tutti fatto il massimo per lavorare come potevano» dice, concludendo con una sentenza: «Il problema deve essere risolto a monte».

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