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Il procuratore capo degli arbitri arrestato per traffico internazionale di droga si dimette dall’incarico

12 Novembre 2022 - 13:09 Redazione
Oltre sei tonnellate di marijuana e hashish sarebbero state introdotte in Lombardia tra 2019 e 2021

«Un vero e proprio tradimento che ha creato un serio danno d’immagine a tutta l’Aia che, è bene ricordarlo, non ha a disposizione poteri istruttori per esercitare un’opera di verifica e controllo di quanto dichiarato dagli associati». È con queste parole all’Ansa che l’Associazione italiana arbitri (Aia) ha condannato l’arresto del suo procuratore capo, Rosario D’Onofrio, per traffico internazionale di droga. Tra i 42 arrestati della maxi operazione anti droga dei finanzieri del Comando provinciale di Milano è infatti spuntato fuori anche il nome noto di d’Onofrio, ex ufficiale dell’esercito ed ex procuratore capo dell’Aia (associazione italiana arbitri). A quest’ultima carica ha rinunciato oggi, 12 novembre, decidendo di presentare le sue dimissioni all’Associazione che – si sottolinea sempre in ambienti arbitrali – nella vicenda è parte lesa. L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa lo scorso giovedì, 10 novembre. L’inchiesta ruota intorno al narcotrafficante Cesare Guido e alla rete che aveva base in Spagna e permetteva di importare tonnellate di hashish e marijuana. Le indagini condotte dalla Dda hanno invece richiesto ben due anni, dal 2019 al 2021. Le decine di arrestati (italiani, albanesi e spagnoli) sarebbero riusciti a trasportare in Lombardia oltre sei tonnellate di marijuana e hashish. Si sarebbero avvalsi di un carro funebre per le trasferte, contando sul fatto che le forze dell’ordine «non fermano» quel tipo di mezzi. Durante l’operazione è stata sequestrata quasi mezza tonnellata di droga. D’Onofrio era stato sospeso dall’esercito per motivi disciplinari, spiega il Corriere della Sera. Si sarebbe spacciato per ufficiale medico millantando una laurea in medicina (che non aveva). Ma per trasportare i carichi di stupefacenti, in violazione delle restrizioni Covid all’epoca vigenti, si sarebbe fatto prestare la tuta mimetica da un commilitone. «Oh mi ha appena fermato la polizia locale. M’ha visto in divisa, il tesserino, m’ha salutato militarmente e ha detto: “no, no, grazie… buona giornata!», avrebbe raccontato in una telefonata alla compagna. I vertici dell’Aia, riporta la Gazzetta dello Sport, hanno appreso con stupore e sgomento la notizia riguardo il coinvolgimento di d’Onofrio nella vicenda.

La condanna dell’Aia: «Il regolamento è chiaro. Noi vittime»

Oltre ad averlo definito un tradimento, l’Aia ci ha tenuto ricordare tutte le regole di comportamente a cui ogni socio deve aderire. «Per assumere la qualifica di arbitro, l’interessato deve dichiarare l’assenza di procedimenti penali nonché di condanne superiori a un anno per reati dolosi in giudicato. Ai sensi dell’articolo 42 del vigente regolamento Aia, gli iscritti devono rispettare le norme del codice etico nonché astenersi dall’assumere atteggiamenti lesivi dell’immagine dell’Aia», dichiarano in una nota all’Ansa. «Tutto ciò – continua l’Assoarbitri – non è mai accaduto. Apprendiamo invece solo oggi dai mezzi d’informazione che il signor Rosario D’Onofrio sarebbe stato arrestato nel corso del 2020, non comunicando addirittura tale provvedimento restrittivo della libertà personale mentre già ricopriva l’incarico di componente della Commissione disciplinare nazionale». E sottolineano che «a seguito dell’elezione della nuova governance, avvenuta il 14 febbraio 2021, in continuità e in considerazione della sua lunga esperienza acquisita, è stato nominato procuratore». Dinanzi a tale comportamento, l’Aia si è definita «vittima indotta in errore con una gravissima e dolosa omissione di comunicazioni previste dal regolamento associativo».

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