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La calciatrice resta incinta e il club non le paga più lo stipendio, la denuncia di Alice Pignagnoli della Lucchese

21 Dicembre 2022 - 16:13 Redazione
«Mi sono sentita dire che gli impegni presi in estate vanno rispettati. Non me lo sarei mai aspettato», ha detto la 34enne in un lungo sfogo su Instagram

«Ferita come donna, madre e atleta». Alice Pignagnoli, calciatrice di 34 anni, si sfoga così su Instagram dopo che la squadra della Lucchese per cui gioca ha deciso di non pagarla più perché incinta. «Ferita e anche molto sola», scrive la donna, «un giocattolo vecchio da gettare. La società mi ha deluso. Dopo quanto successo con il Cesena due anni fa, non me lo sarei mai aspettato». Il riferimento della calciatrice è alla decisione della squadra romagnola di rinnovarle il contratto mentre era al settimo mese della sua scorsa gravidanza. Ora la 34enne portiera della Lucchese, di nuovo in attesa, ha comunicato la bella notizia alla società che milita nella serie C. Il risultato è stato l’interruzione immediata dello stipendio. «Ho informato il manager della Lucchese, Mario Santoro, e mi sono sentita dire che gli impegni presi in estate vanno rispettati: non era più loro intenzione pagarmi ciò che mi spetta». Una decisione che l’attuale regolamento del calcio femminile purtroppo non ostacola: la riforma dello scorso luglio 2022 ha previsto il passaggio al professionismo delle calciatrici solo di Serie A. Per loro, oltre al rispetto di stipendi minimi, i club sono obbligati a contrattualizzare accordi professionisti che riconoscono contributi previdenziali, un fondo di fine carriera e quindi garanzia di pensione e maternità. Diritti che dalla serie B in giù rimangono ancora privilegi da conquistare. «Sogno un mondo migliore, dove le donne vengano supportate in uno dei compiti più grandi e allo stesso tempo difficili che si trovano ad affrontare», ha scritto ancora Pignagnoli nel lungo post social, «non solo generare la vita, ma non sentirsi “sbagliate” a causa delle loro scelte. Un mondo dove le donne vengano valutate per il loro valore e non per la quantità di figli che hanno o non hanno».

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