Chi è Danilo Valeri, il 20enne rapito a Roma su cui indaga l’antimafia

Non si esclude possa trattarsi di un regolamento di conti della ‘ndrangheta dietro il rapimento del giovane, figlio di Maurizio Valeri, noto alle forze dell’ordine

Si chiama Danilo Valeri, il 20enne rapito in un locale di Ponte Milvio a Roma questa notte, 23 dicembre e ritrovato nel tardo pomeriggio dalla squadra mobile della Capitale. Il sequestro è avvenuto attorno alle 2.30 da parte di un gruppo di sei o sette persone che lo hanno costretto con la forza a salire su un’auto. Da allora è stata persa ogni traccia del giovane, che non ha più fatto ritorno a casa. L’ultima cella agganciata dal suo cellulare è quella dove è avvenuto il rapimento: il ristorante giapponese Moku di Tor Di Quinto dove aveva cenato con alcuni amici. Qui è stato anche trovato il cellulare del ragazzo. Un sequestro dai contorni ancora misteriosi, ma avvenuto sotto gli occhi di diversi testimoni. Il fascicolo dell’indagine è stato affidato ai magistrati dell’antimafia di Roma. Stando a quanto si apprende, le autorità hanno tentato di ricostruire quanto avvenuto all’esterno del pub, attraverso l’analisi delle immagini riprese dalle telecamere della zona con l’obiettivo di individuare l’auto su cui è stato fatto salire il giovane.


I dubbi sul padre del giovane e sula ‘ndrangheta

L’attenzione si era focalizzando sul padre di Danilo, Maurizio Valeri. Conosciuto come «il sorcio», scrive Il Messaggero, sarebbe un nome noto alle forze dell’ordine. Secondo il giornale romano, Valeri gestirebbe due piazze di spaccio nel quartiere di San Basilio e, nel tempo, si sarebbe fatto diversi nemici. E tra questi, il clan Marando, ndrina della ‘ndrangheta calabrese trapiantata a Roma che controllerebbe lo spaccio di droga nel quadrante nord-est capitolino. Il padre di Danilo sarebbe entrato in conflitto con il gruppo malavitoso. Non si esclude, quindi, che dietro il sequestro del giovane possa esserci proprio il clan in questione. Già lo scorso maggio Maurizio Valeri era stato vittima di un regolamento di conti a mano armata – per motivi anche legati alla droga – nel quartiere Tiburtino che lo portò a presentarsi all’ospedale Sandro Pertini con una ferita d’arma da fuoco a una gamba.


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