Se il figlio si affeziona al nuovo partner, stop all’assegno di divorzio dall’ex: l’ultima sentenza della Cassazione

La decisione riguarda una coppia ligure, in cui la donna aveva sviluppato una «saldezza di legame» con il nuovo compagno secondo i giudici sufficiente perché lo aiutasse nella crescita del figlio

Se il figlio di una coppia divorziata individua «un punto di riferimento» nel nuovo compagno di sua madre, quest’ultima può perdere il diritto all’assegno di divorzio, anche nel caso in cui non ha un lavoro. Lo ha stabilito la Cassazione, con quella che rappresenta l’ultima novità sul tema: le scorse settimane gli ermellini avevano stabilito che l’assegno in questione si può revocare al coniuge «che spende e spande e non lavora», e poi che i fondi si possono tagliare anche nel caso in cui il partner che dovrebbe incassarli rifiuta una proposta lavorativa seria e stabile senza una valida giustificazione. Adesso, la Cassazione rileva che se l’ex moglie viene aiutata da un nuovo compagno a crescere il figlio avuto dal precedente matrimonio, si viene a configurare una situazione che prova la «saldezza del legame» della coppia di fatto. E che dunque fa venir meno i presupposti per ricevere l’assegno divorzile con l’ex partner con il quale non si vive più ormai da anni.


Il caso

Il caso specifico che ha motivato la sentenza ruota attorno al ricorso di una donna contro la decisione della Corte di Appello di Genova, che nel 2019 aveva respinto la sua domanda di ricevere l’assegno dall’ex marito, un ufficiale della Marina. Il rifiuto del Tribunale di Genova era stato motivato dal fatto che per 15 anni la donna non si sarebbe mai «attivata per trovare una attività confacente alle sue attitudini professionali, preferendo dedicarsi al volontariato e all’attività politica». Attività arricchita anche dalla candidatura alle amministrative del 2018 con il Movimento Cinquestelle, in una cittadina dello Spezzino. I magistrati della Corte d’Appello evidenziavano anche, in base agli elementi raccolti, che ormai esisteva «una convivenza di fatto» tra la donna e un nuovo partner, «definitosi suo compagno e indicato dai consulenti tecnici come persona di riferimento per il piccolo ‘Andrea’, nato in costanza di matrimonio, da quando lo stesso aveva quattro anni». La donna aveva provato a contestare in cassazione l’esistenza di tale convivenza di fatto, appellandosi alla presunta mancanza di un’«effettiva progettualità comune che costituisce l’elemento costitutivo di una nuova famiglia». Obiezione che gli ermellini hanno ritenuto «infondata».


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