Suore di Pienza, galeotto fu il mercatino pubblicizzato sui social? Le benedettine “ribelli” rispondono alla diffida della diocesi: «Epurate senza motivi ufficiali»

«L’obbedienza non è cieca e supina subordinazione a comandi arbitrari» ha scritto il gruppo delle 13 monache di clausura nel comunicato ufficiale diffuso poche ore fa

«Un’epurazione senza motivi ufficiali: vogliamo capire di cosa siamo accusate». Così le suore di Pienza parlano in una nota ufficiale dopo la diffida formale della diocesi nei loro confronti. Galeotto può essere stato quel mercatino di biscotti e marmellate che le monache di clausura avrebbero pubblicizzato sui social, con tanto di invito rivolto alle giovani donne dai 18 ai 38 anni «che vogliano provare l’esperienza della vita claustrale per una settimana». Una specie di strategia social per attirare vocazioni che sembrerebbe aver dato noia alla Santa Sede. Dopo le polemiche degli ultimi giorni e le domande sulle reali ragioni della punizione al gruppo di religiose, le 13 sorelle chiedono nel documento ufficiale una risposta dettagliata sulle accuse motivanti la diffida formale ricevuta. «Non vi sono affatto atteggiamenti disallineati ma piuttosto vi è legittimo esercizio dei diritti che lo stesso diritto canonico riconosce», scrivono nel comunicato le 13 benedettine. Pochi giorni fa era stata la Santa Sede a decidere il trasferimento della madre superiora Diletta Forti, non senza critiche da parte del gruppo di suore, che ora torna a parlare. «La professione religiosa perpetua non priva chi la emette né della voce né della ragione, l’obbedienza è un ossequio dell’intelletto e della volontà ai comandi legittimi e secondo giustizia, non cieca e supina subordinazione a comandi arbitrari», scrivono in loro difesa. «Siamo state oggetto di provvedimenti che si traducono in una punizione senza che ci sia spiegato qual è il comportamento per cui saremmo state sanzionate. Non è indicata quale legge avremmo violato e nemmeno è indicato un comportamento contrario alla legge canonica: nei decreti non c’è nulla». Le benedettine definiscono poi «mortificante» il dover accettare una punizione «senza nemmeno sapere perché si viene punite».


«Misure viziate e non proporzionate»

La comunicazione ufficiale prosegue: «Ancora più doloroso è apprendere dai giornali presunte motivazioni dalle quali non ci siamo mai potute difendere e da cui tutt’ora non possiamo difenderci perché non sono nemmeno accennate negli atti ufficiali». Da qui la promessa da parte del gruppo di suore di difendersi «nelle competenti sedi canoniche innanzitutto per capire di cosa siamo accusate». Poi l’appello: «Auspichiamo che la Diocesi contenga le sue dichiarazioni che si appalesano inopportune dal momento che, dell’intera vicenda, è investito il competente dicastero Vaticano». Le suore di clausura di Pienza affermano pure che «la Diocesi, senza alcuna competenza in materia, si esprime circa i decreti del Dicastero Vaticano per gli Istituti di Vita Consacrata e la loro presunta mancata esecuzione. Sul punto si precisa anzitutto che quei provvedimenti non riguardano un semplice “avvicendamento” come banalizza la diocesi, ma dispongono misure di fatto sanzionatorie contro il monastero, l’abbadessa e la priora». E su «queste ultime il Dicastero, dal nulla, senza addurre alcuna motivazione né tantomeno riferendosi alla visita compiuta mesi fa e a cui è seguito solo silenzio, dispone per l’abbadessa un allontanamento (detto “esclaustrazione”) per un surreale triennio senza alcun sostentamento ma restando formalmente monaca, e per la priora un trasferimento di un anno presso la comunità promiscua ed ecumenica di Bose, che notoriamente nulla ha a che fare con la spiritualità benedettina». Misure che le sorelle considerano viziate nella procedura e nella proporzionalità alle accuse avanzate. «In passato, peraltro, né il monastero né i suoi vertici, hanno mai ricevuto alcun rimprovero dai superiori per fatti o circostanze ritenuti “impropri” dalle autorità».


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