Città a 15 minuti? «Ci vogliono imprigionare nei ghetti». L’ultima folle teoria del complotto

Dal Regno Unito a tutto il mondo prende piede il progetto della città veloce e di prossimità. Ma anche la nuova teoria cospirazionista ad essa collegata. Ecco in cosa consiste

Quello della città dei 15 minuti è un progetto urbanistico che sta prendendo sempre più piede, anche alle nostre latitudini. Ma non a tutti piace. A volte per obiezioni legittime, altre sulla base di tesi astruse: come quella al cuore dell’ultima, inquietante teoria del complotto. Secondo la quale la trasformazione delle città al fine di seguire questo modello non sarebbe che una scusa per «confinare le persone nei propri distretti». Tra le molte realtà urbane che si ispirano a questo modello c’è anche quella di Oxford. Nella città universitaria inglese, un grosso limite al raggiungimento dell’obiettivo è il traffico di alcune vie principali. Per questo il consigliere ai trasporti e alle strategie di sviluppo della contea dell’Oxfordshire, Duncan Enright, ha spinto affinché, durante le ore di punta, l’accesso a queste strade fosse contingentato e regolato con dei permessi. Per evitare infrazioni, sono state predisposte delle telecamere per controllare ingressi e uscite.


La teoria del complotto

L’idea ha suscitato le proteste di molte persone, sia abitanti di Oxford, pochi giorni fa, ma anche, stranamente, di chi nella città universitaria non ci vive. Si potrebbe pensare che, come spesso avviene in questi casi, a far sentire la loro voce siano i commercianti, convinti falsamente che i loro introiti diminuiranno di pari passo con il traffico veicolare, o automobilisti che si vedrebbero privati del privilegio di percorrere alcune strade. Tuttavia, il motivo delle proteste, che sono sfociate anche in manifestazioni nelle strade di Oxford, era diverso. Molti manifestanti sono convinti che la novità sarebbe il primo passo di un’operazione di confinamento delle persone all’interno dei propri distretti, dai quali non si potrebbe uscire senza uno specifico permesso. Ma proteste di questo tipo non si sono viste solo a Oxford, anche se al momento l’Inghilterra sembra l’hotspot del fenomeno.


Gli slogan dei complottisti

«Le città a 15 minuti non servono per la crisi climatica, sono dei ghetti per un controllo tirannico», si legge su alcuni striscioni nella città inglese. E ancora: «Chi ha la priorità? Le persone o il World Economic Forum?»; «La città dei 15 minuti è un inferno distopico»; «Il governo vi sta mentendo». Questo è il tono della discussione, che come prevedibile si è si è spinta anche nella vita virtuale e ha invaso Twitter, dove circolano post di chi sostiene che chi uscirà dalla propria area di competenza verrà multato e addirittura potrebbe essere oggetto di sfratto. «Sono piuttosto allarmato», ha dichiarato Enright alla Cnn. «Non avevo mai visto nulla di simile in anni di politica locale», ha aggiunto.

Cos’è la città dei 15 minuti

Beppe Sala ci si ispira per Milano, mentre Parigi ha fatto enormi passi avanti in questo senso sotto l’amministrazione di Anne Hidalgo, che proprio sulla rivitalizzazione urbana della capitale francese ha basato la campagna elettorale che ha portato alla sua elezione del 2020. Il concetto è semplice, in questo tipo di città, tutti i servizi essenziali – scuole, centri sanitari, stazioni di trasporto pubblico, parchi, luoghi di lavoro, negozi di alimentari – siano raggiungibili da tutte le abitazioni in 15 minuti o meno, a piedi o in bicicletta. L’obiettivo è quello di rendere le città più vivibili, riducendo il numero di spostamenti, soprattutto quelli in auto, e quindi la quantità di emissioni inquinanti, così come quella di tempo perso sui mezzi pubblici o nel traffico. Il termine «città dei 15 minuti» è stato coniato da Carlos Moreno, docente della Università Sorbonna di Parigi, nel 2021.

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