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Il boss smemorato e il bambino: così Messina Denaro ha partecipato al sequestro e all’omicidio di Giuseppe Di Matteo

Pippo Giordano, ex ispettore della Dia, spiega a Open che la dissociazione di 'U Siccu è poco credibile. Perché lui c'era sia nella fase della decisione che in quella del rapimento

«Ma davvero nega? Mi sembra come quel politico che diceva che gli avevano acquistato casa a sua insaputa». Pippo Giordano ha fatto parte della “Sporca Dozzina” di Gianni Di Gennaro inviata da Roma in Sicilia per indagare sul sequestro di Giuseppe Di Matteo. Come ha raccontato ieri il sito Livesicilia, durante l’interrogatorio di garanzia con il giudice delle indagini preliminari Alfredo Montalto Matteo Messina Denaro ha sostenuto di non aver dato l’ordine di ammazzare il figlio di Mario Santo detto Santino. Un’affermazione che non sta in piedi per molti motivi. Anche se, ci dice l’ex ispettore della Dia che ha lavorato con Chinnici, Falcone e Borsellino, è vero che ‘U Siccu non ha dato l’ultimo ordine. Quello di ammazzarlo e farne sparire il cadavere sciogliendolo nell’acido.

Chi ha deciso l’omicidio

«È stato Giovanni Brusca detto il Verro (“Maiale”, ndr) a telefonare a Giuseppe Monticciolo dicendogli di liberarsi del “canuzzu”. Ad eseguire l’ordine lui, Enzo Brusca e Vincenzo Chiodo. Tra l’altro Enzo era in disaccordo sull’omicidio perché al bambino si era affezionato. Purtroppo non contava abbastanza per far cambiare idea a Cosa Nostra». Ma in compenso il figlio di Don Ciccio ha certamente partecipato alla fase preparatoria e al sequestro: «La decisione di ucciderlo è scaturita dall’arresto di Gioè di La Barbera. Il primo si suicidò in carcere. La Barbera e Di Matteo decisero di pentirsi e vennero da noi alla Dia di Roma. A quel punto in una riunione a Misilmeri con Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano e Giovanni Brusca si decise di dare un segnale forte nei confronti dei pentiti. Il padre di Gioacchino La Barbera fu impiccato e cercarono di farlo passare per un suicidio. Nell’occasione quando lui li vide entrare nella sua stalla disse loro “So bene cosa siete venuti a fare. Fatelo in fretta”. E si fece mettere la corda al collo senza resistenza». Per Di Matteo decisero invece il sequestro del bambino. «E fin dall’inizio avevano deciso di ucciderlo», conclude Giordano.

La prigionia nel territorio di Messina Denaro

Va inoltre ricordato che almeno per un periodo il bambino fu tenuto prigioniero nel territorio di ‘U Siccu. «E non è possibile che lui non sapesse nulla. Brusca raccontò che si rivolse a Messina Denaro per avere una casa dove tenerlo prigioniero. Se ben ricordo, lo portarono prima a Tre Fontane, poi a Lascari, a Ganci, a Castellammare del Golfo e a Campobello di Mazara. Poi finì nei pressi di San Giuseppe Jato. Sapevano benissimo che l’avrebbero ucciso». Soprattutto, va ricordato che le decisioni dei mafiosi sono in alcuni casi collettive: «Se si deve colpire un personaggio importante ci deve essere l’ok della commissione provinciale. Dal punto di vista investigativo poi a noi non cambia niente. Nel corso del processo è la magistratura che distingue le responsabilità». Proprio per questo non si capisce cosa intenda dire Messina Denaro oggi con il distinguo sull’omicidio: «Ma d’altro canto lui ha vissuto della luce riflessa del padre. Ha acquisito la sua importanza di boss di spessore – anche se secondo me non lo era – per diritto di nascita. Se potessi gli chiederei perché nega l’omicidio di Di Matteo mentre ha organizzato l’attentato di via dei Georgofili dove due bambine sono morte?».

Pippo Giordano | Alcuni dei poliziotti della Direzione Investigativa Antimafia in un’indagine dell’epoca

«Un agglomerato di menti bacate»

Per Giordano, soprattutto, è «una boiata» che la mafia si faccia scrupoli con donne e bambini. «Tutte le mafie hanno ucciso bambini. Chi li ha contati dice che ne sono morti 108. Lei si ricorda Francesco Marino Mannoia? A lui uccisero padre, fratello, madre, zia e sorella. Di cosa parliamo? I componenti di Cosa Nostra sono un agglomerato di menti bacate». L’ex poliziotto ricorda che dopo il sequestro Di Gennaro costituì la sua “Sporca Dozzina” e la inviò in Sicilia: «Io mi interessai di Giuseppe Ferro e Vincenzo Sinacori. Non avevamo il compito specifico ma abbiamo fatto un’attività di ricerca senza indagini mirate». In ogni caso, lui ha ancora il cruccio di non averlo salvato: «Ci siamo andati vicino, avevamo individuato una persona che poi si scoprì essere uno dei tre carcerieri che poi materialmente strangolarono il bambino e lo sciolsero nell’acido». Purtroppo non riuscirono a trovarlo.

Pentimento in arrivo per ‘U Siccu?

In un’altra indagine con la Dia Giordano individuò una casa isolata dove pensavano si nascondesse qualche latitante. «Andammo di notte, aprimmo le porte e mettemmo le microspie. Stranamente, però i microfoni non captarono nulla. Anni dopo Brusca dichiarò in un interrogatorio che aveva visto degli uomini che giravano attorno al covo che all’epoca condivideva con Leoluca Bagarella. E disse che era pronto a prendere un furgone, farsi fermare e ammazzarli tutti. A tanti anni di distanza però ricordo ancora che anche io e i miei colleghi eravamo pronti. A questo e ad altro. Non ci avrebbe preso alla sprovvista in ogni caso…». Infine, Giordano dice che non è da escludere che ‘U Siccu si penta. «Sto raccogliendo scommesse con i miei amici su questo», aggiunge. «Intanto perché non è un corleonese. E non ha la scorza di Riina, Provenzano e altri. E poi c’è la malattia. Secondo me è possibile che decida anche lui di collaborare. Intanto ho notato che manda ancora segnali. Ha presente quella frase sulla Palermo Bene che ha ha le unghie ammucciate, nascoste? Ecco, quello mi pare un messaggio non tanto criptato».

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