Disturbi alimentari, Fratelli d’Italia propone il reato di istigazione ad anoressia e bulimia. Le critiche degli esperti: «Invece che a garantire cure si pensa a mettere in carcere» – Le interviste

Preoccupate le associazioni che si occupano del tema. Mariella Falsini di Fondazione Fiocchetto Lilla: «La maggior parte dei siti pro Ana sono realizzati da persone in difficoltà, la repressione non è una strada»

Molto più che un problema con il cibo: una questione di salute mentale sempre più urgente su cui il disegno di legge presentato dal senatore Alberto Balboni (Fratelli d’Italia) oggi ha tentato di richiamare l’attenzione. La proposta di Fratelli d’Italia è quella di introdurre un vero e proprio reato di istigazione all’anoressia e alla bulimia. «Malattie sociali», spiega il testo, che colpiscono «in modo subdolo e drammatico migliaia di giovanissimi» e che «mostra una continua evoluzione nelle modalità e nella tipologia di diffusione». I numeri parlano chiaro: in Italia sono 4 milioni le persone che soffrono di un disturbo alimentare, con una stima di 4mila decessi all’anno tra i giovani, la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. Negli ultimi tre anni gli esperti registrano il +40% di diagnosi, con il doppio delle richieste di ricovero. Un’epidemia spesso silenziosa che Open ha raccontato nel web documentario Anime Affamate e che non accenna ad arrestarsi. Davanti alla nuova proposta di legge, però, gli esperti si interrogano sulla reale efficacia dell’inserimento di un nuovo reato.


Una proposta che arriva da lontano

È bene intanto ricordare che la proposta arrivata dal senatore Balboni sull’istigazione ad anoressia e bulimia non è la prima avanzata negli ultimi anni. Nel 2008 il ministro della Salute Beatrice Lorenzin presentò una testo di legge con altri due deputati dell’allora Pdl (Contento e Costa) per chiedere che venissero oscurati circa 300mila siti Internet italiani che promuovono anoressia. Nel 2014 era stata invece Michela Marzano del Pd ad avanzare un disegno di legge sull’estensione del reato di incitamento al suicidio (articolo 580), con l’introduzione del 580-bis nel codice penale. Tre anni dopo anche la senatrice Maria Rizzotti di Forza Italia. Sempre con un nulla di fatto. Ora l’ultimo tentativo da parte di Fratelli d’Italia. Ma a chi si rivolgerebbe nello specifico il reato di istigazione ad anoressia e bulimia?


Siti pro Ana e pro Mia, chat e profili social di coaching

Oltre all’introduzione di uno psicologo a scuola dedicato per incontrare i ragazzi, in grado di aiutarli e capire i primi sintomi, il ddl punta, come spiega il primo firmatario Balboni, «alla prevenzione ma anche alla repressione» dei comportamenti illegali, «perché siamo al limite dell’istigazione al suicidio». Composta da 5 articoli la proposta parla dell’introduzione nel codice penale il reato di istigazione «a pratiche idonee a provocare un disturbo del comportamento alimentare». In particolare prevede che chiunque, con qualsiasi mezzo, «anche per via telematica», determina o rafforza l’altrui proposito di ricorrere a condotte alimentari idonee a rafforzare o provocare disturbi del comportamento alimentare e ne agevola l’esecuzione, «è punito con la reclusione fino a due anni e la sanzione amministrativa da euro 20mila a 60mila». Se poi il reato viene commesso nei confronti di una persona in minorata difesa, o su di una persona minore di 14 anni o ancora su di una persona priva della capacità di intendere e di volere, «si prevede l’applicazione della pena della reclusione fino a quattro anni e la sanzione amministrativa da euro 40mila a 150mila». Pene che prenderebbero nel mirino soprattutto i diffusissimi siti Pro Ana e Pro Mia, in Italia almeno 300mila in totale: tra blog dedicati, chat Telegram e profili di presunti coach alimentari, decine di giovanissimi in difficoltà si scambiano pericolosi consigli, se non a volte ordini, su come mangiare sempre meno, pesare sempre meno, punirsi per eventuali “sgarri” e condurre un’esistenza basata sulla totale privazione. Nella relazione di accompagnamento alla proposta si evidenzia come sono «circa 4mila i giovani che perdono la vita per questa che è una vera e propria malattia psichiatrica. Chiediamo che venga riconosciuta come malattia sociale perché così sarà più semplice fare un lavoro nelle scuole».

Le perplessità degli addetti ai lavori: «L’ennesima ricerca di visibilità. Si guardi al vero problema»

A commentare la proposta di Fratelli d’Italia è Mariella Falsini, presidente della Fondazione Fiocchetto Lilla, una tra le realtà più attive in Italia sul tema dei disturbi del comportamento alimentare che raccoglie le associazioni principali impegnate sul tema. «Quella di oggi non è la prima proposta a cui assistiamo. Ogni tanto qualcuno torna a parlare di reato di istigazione e anche ora, come ogni volta, ci chiediamo come mai ci si dimentichi sempre del problema vero: e cioè le cure inadeguate, le strutture di assistenza che continuano a chiudere, le liste d’attesa infinite», spiega la presidente. «Quasi tutte le persone all’interno dei siti sono malati in difficoltà: qual è la soluzione che proponiamo? Metterli tutti in galera? Reprimere la malattia con punizioni? Se proprio dobbiamo obbligarli a fare qualcosa, e lo dico ovviamente per estremizzare, che li si spinga a intraprendere un percorso di cura». Falsini continua a riflettere anche su quello che accade sui social: «I profili di divulgazione sul tema sono gestiti da ex malati che hanno fatto di necessità virtù e che quindi, anche a volte in buona fede, si spacciano per coach. Questo anche per loro vuol dire rimanere radicati nella malattia: come si fa a lasciare qualcosa che mi dà riscontro, visibilità e soddisfazione?». Un mare molto vasto che la presidente non crede si possa combattere con multe e detenzioni. «Proposte di questo tipo sanno di ricerca di visibilità per chi le fa e nient’altro», accusa, ricordando quanto i disturbi di cui si parla siano malattie capaci di intaccare in modo profondo la mente di chi ne soffre e che l’approccio repressivo non appare in nessun caso la soluzione per cambiare un sistema di cura e assistenza che ora è urgente rivoluzionare. «Il punto non è combattere il singolo psicoterapeuta o l’unica influencer, così come la strada per assistere in modo serio le nuove generazioni non credo sia quella di basarsi sulla proposta del singolo», continua la presidente.

A mostrarsi dubbioso è anche il dottor Giuseppe Magistrale, psicologo e psicoterapeuta del Centro Dca di Bari, tra i più attivi sul territorio nazionale. «All’interno dei siti pro Ana o tutti quelli che la proposta di legge vorrebbe combattere ci sono persone che stanno male, e il punto principale è che dove c’è sofferenza è molto difficile individuare con certezza la linea della responsabilità, quanto cioè i loro comportamenti siano imputabili. Chi è in difficoltà spesso utilizza gli strumenti che ha per relazionarsi con il mondo. Punire credo non aiuti a riconoscere il reale problema». Magistrale sottolinea la presenza, seppur in quantità minore, di persone che non soffrono di disturbi alimentari e che tuttavia si mettono alla guida di siti e profili pericolosi per decine di giovanissimi: «E anche in quel caso si tratta di grossi problemi presenti, certo di altra natura ma che in ogni caso l’azione punitiva non risolverebbe». L’esperto conclude: «Se non esiste un apparato capace di accogliere la malattia il resto delle manovre e degli sforzi legislativi possono risultare azioni palliative». Il discorso degli addetti ai lavori si concentra poi su quelli che tuttora per loro rimangono gli ambiti su cui intervenire, e al più presto. «Strutture di assistenza, ambulatori, centri diurni, continuano a chiudere», riprende Falsini, «abbiamo portato sul tavolo del ministero della Salute la proposta di un codice lilla per i pronto soccorso, affinché si riesca a intercettare nel quotidiano più casi possibili, a intervenire prima che sia troppo tardi, affinché il personale fosse finalmente formato a questo tipo di disturbi, affinché la rete tra le regioni fosse davvero unificata e quindi efficiente». Buoni propositi mai realizzati, come «la grande presa in giro» dei Lea, Livelli Essenziali di Assistenza, all’interno dei quali i Dca sarebbero dovuti entrare nel 2021 e che di fatto la Commissione incaricata «ha lasciato al palo». Un passo che avrebbe permesso al sistema sanitario nazionale di avere i fondi necessari per coprire le spese di cura e rendere accessibili a tutti quello che ora rimane un privilegio. «La fondazione nasce anche per questo, perché siamo stufi di chiacchiere. Un sistema che aiuta a curarsi non può basarsi su interventi repressivi. E se di 4milioni di utenti della salute mentale solo 800mila risultano presi in carico dal pubblico allora c’è un chiaro problema di priorità negli investimenti».

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