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La sfida del grano che inquieta l’Europa. L’Ue corre ai ripari per sedare la rivolta degli agricoltori di Polonia, Slovacchia e Ungheria

17 Aprile 2023 - 18:25 Simone Disegni
Lo stop all'import di cereali e altri beni alimentari nei tre Paesi di Visegrad rischia d'incrinare il sostegno Ue all'Ucraina. Ecco da dove viene la crisi e come può risolversi

La Commissione europea ha fatto sapere oggi ufficialmente di essere al lavoro per trovare una soluzione alla “mini-rivolta” scoppiata questo weekend in Polonia, Ungheria e da ultimo Slovacchia contro il grano ucraino. Per alleviare la pressione sui prezzi dei cereali, alla radice della crisi, Bruxelles sarebbe pronta a stanziare nuovo fondi fino a 75 milioni di euro. Soldi da suddividere tra i Paesi più colpiti dalla concorrenza dei cereali ucraini – Bulgaria, Polonia, Ungheria, Romania e Slovacchia – e che andrebbero ad aggiungersi ai 56 milioni già erogati, dal fondo di riserva di crisi della Politica agricola comune, nei mesi scorsi a Varsavia, Sofia e Bucarest. Una mossa per tentare di calmare le acque, anche per evitare che proprio dall’Est Europa possa incrinarsi il fronte del sostegno Ue alla causa ucraina, ma che non sarà immediata. Anche se il pacchetto di nuovi aiuti dovesse essere presentato «molto rapidamente», come ha suggerito oggi la Commissione, la proposta dovrà poi essere discussa e approvata dagli Stati membri, e dunque, necessariamente, «ci vorrà un po’ più di tempo». Ma questa volta l’Europa non può fare a meno di scendere a patti coi governi spesso ostili del gruppo di Visegrad.

Il grano della discordia

Polonia e Ungheria giocano da anni il ruolo dei “cattivi” della classe europea, con la Slovacchia spesso a rimorchio. Tema cruciale delle divisioni, almeno fino a prima dell’invasione russa dell’Ucraina, il rispetto dello stato di diritto – gravemente degradato nell’Ungheria di Viktor Orban, ma anche nella Polonia dei fratelli Kaczyński. Ma ad aprire un nuovo scontro con l’Ue, questo weekend, è stata una questione ben più “materiale”. La notizia, arrivata sabato, ha colto impreparati funzionari europei e osservatori internazionali: il governo polacco ha deciso di vietare l’importazione di grano e altri ben alimentari dall’Ucraina – tra cui frutta, verdura, carne, latte e suoi derivati. «Non lasceremo mai gli agricoltori senza aiuti», ha scritto su Twitter il premier Mateusz Morawiecki, con tanto di carrellata di scatti in compagnia di contadini polacchi in abiti tradizionali. Poche ore dopo si è volentieri accodata all’annuncio l’Ungheria, fino a poco più di un anno fa alleata di ferro della Polonia, ma da tempo riconvertitasi in spina nel fianco del fronte occidentale pro-Kiev. «In assenza di misure significative dell’Ue», Budapest ha annunciato lo stop temporaneo «all’importazione di grano e olio di semi in provenienza dall’Ucraina, così come di altri prodotti agricoli» fino al 30 giugno. Stamattina, infine, l’analogo annuncio del terzo Paese del redivivo gruppo di Visegrad, la Slovacchia, che già giovedì ha vietato la lavorazione del grano ucraino stoccato e della farina da esso prodotta per la presenza di pesticidi.

Problemi di transito

Ma cosa preoccupa tanto i governi dell’Est Europa? Le proteste degli agricoltori, che – solidarietà anti-russa o meno – da mesi denunciano il crollo delle entrate di pari passo con quello dei prezzi del grano. La ragione è presto detta: l’enorme afflusso di cereali – e altre derrate alimentari – dall’Ucraina. Dopo l’inizio dell’invasione russa del Paese, per evitare lo strangolamento dell’economia ucraina, l’Ue favorì infatti il reindirizzamento dei carichi di cereali – l’Ucraina ne è tra i più grandi produttori ed esportatori al mondo – per bilanciare il blocco navale russo sul Mar Nero, varando i cosiddetto “corridoi di solidarietà”: libero accesso alla dogana, in sostanza, senza dazi o tariffe di sorta. Anche col consenso dei Paesi confinanti desiderosi di mostrare tutto il loro sostegno alla causa: Polonia, Ungheria, Slovacchia e Romania. Peccato che anziché procedere poi spediti verso altre destinazioni globali, quei carichi di cereali finiscano spesso per restare proprio nei Paesi dell’ex cintura sovietica. Quantità industriali disponibili allo smercio, come ovvio, uguale crollo dei prezzi di vendita. E a farne le spese sono i produttori agricoli dei Paesi interessati. Postilla non irrilevante: nel più grande e più influente tra quei Paesi, la Polonia appunto (dove si trova in queste ore anche il nostro capo dello Stato Sergio Mattarella) si appresta a tornare tra pochi mesi alle urne – e il partito di governo ultraconservatore di Diritto e Giustizia non può permettersi di perdere per strada il sostegno delle campagne. La questione, in effetti, montava a Varsavia da settimane: lo scorso 5 aprile – come riportato da Politico – il ministro dell’Agricoltura Henryk Kowalczyk aveva rassegnato le dimissioni in segno di solidarietà coi contadini e di protesta con la Commissione Ue per la sua indisponibilità a reimporre dazi e tariffe sul grano ucraino. 

Dalla rabbia ai miti consigli

La politica commerciale esterna è infatti come noto materia di competenza Ue. Un fatto ricordato con toni aspri ieri dalla Commissione nella prima reazione stizzita alla decisione di Polonia e Ungheria. «Azioni unilaterali non sono accettabili», aveva tuonato ieri una portavoce della Commissione Ue. Ma la questione è troppo seria, politicamente ed economicamente, per essere liquidata a suon di minacce, e oggi il tono è cambiato. «Il tema posto da Polonia e Ungheria c’è, ci attendiamo che la Commissione avanzi una proposta per gestirlo», aveva fatto sapere già di primo mattino un alto funzionario dell’Ue, citato dall’Ansa, sottolineando i «problemi logistici, anche legati ai costi di trasporto» che non permettono al grano in arrivo in Est Europa di essere poi ri-esportato nel resto del mondo. «Dobbiamo trovare il modo per garantire questo ri-export o fornire compensazioni», richiamava la fonte. Detto, fatto. Nel corso della giornata, la Commissione ha fatto sapere quindi ufficialmente di essere al lavoro su un nuovo pacchetto di aiuti per alleviare la pressione sui prezzi dei cereali nei Paesi confinanti con l’Ucraina: il nuovo stanziamento – se le anticipazione saranno confermate, e se gli Stati membri daranno l’ok – he potrebbe arrivare fino a 75 milioni di euro.

Negoziati in corso

In attesa dei tempi del decision-making europeo, comunque, sempre oggi 17 aprile si è saputo che i governi ucraino e polacco – mai tanto vicini politicamente come in questi mesi, come suggellato dall’accoglienza da eroe appena riservata a Varsavia a Zelensky – hanno già ripreso il filo del dialogo. Delegazioni dei due Paesi stanno conducendo negoziati sul tema a Varsavia, in particolare per quanto riguarda la “prosecuzione del viaggio” dei cereali verso Paesi terzi, ha fatto sapere il neo-ministro dell’agricoltura polacco, Robert Telus. «Cercheremo insieme una soluzione in modo che il nostro contratto, che vogliamo firmare, diventi effettivo», ha detto Telus, citato da Ukrinform. Ne va del futuro politico di entrambi i governi, in fondo. Con una guerra che si trascina da quasi 14 mesi senza una chiara via d’uscita, di tutto la fragile Ucraina di Zelensky ha bisogno tranne che di vedere incrinarsi il sostegno europeo proprio dal Paese ai suoi confini da cui transitano armi, beni di prima necessità e missioni internazionali. L’effetto-domino, politico e psicologico, potrebbe’essere pericolosissimo. Parola ai negoziatori, dunque. I contadini dell’Est Europa osservano con attenzione.

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