Balneari, dopo la sentenza della Corte di Giustizia Ue il governo non ha più scuse: ora come rimettere a gara le concessioni? – L’analisi

La sentenza della Corte non ha fatto che confermare la diretta applicabilità dell’articolo 12 della direttiva Bolkestein. Ecco le conseguenze

Attraverso la sentenza pubblicata oggi, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea dovrebbe aver messo – il condizionale è d’obbligo – fine alla querelle relativa alla possibilità o meno, da parte dello Stato italiano, di prorogare a tempo indeterminato le cosiddette concessioni balneari. È bene dire, sin da subito, che il contenuto e le argomentazioni della sentenza non stupiscono e non aggiungono elementi di rilievo al dibattito giuridico sviluppatosi negli ultimi anni sul punto, se non quello di confermare ulteriormente la diretta applicabilità agli Stati membri dell’art. 12 della direttiva Bolkestein, nella parte in cui prevede il divieto di rinnovo automatico delle concessioni in essere e l’obbligo di procedere all’assegnazione attraverso procedure imparziali e trasparenti.


In realtà, gli aspetti giuridici di merito, come la possibilità di applicare il richiamato art. 12 alla fattispecie delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricettive o l’effettiva ricorrenza del requisito della scarsità della risorsa naturale in questione, erano già stati esaminati e chiariti ripetutamente dal nostro Consiglio di Stato, il quale, a sua volta, aveva attinto a piene mani dalla giurisprudenza comunitaria. Nel corso degli ultimi anni, infatti, si è assistito ad un continuo pressing del massimo organo della giustizia amministrativa nei confronti dei governi in carica per spingerli ad applicare la direttiva Bolkestein anche alle concessioni balneari e fissare un termine certo per la perdita di efficacia di quelle in essere.


La compatibilità della direttiva con il quadro giuridico esistente ed applicabile alle concessioni in questione, d’altra parte, era subito apparsa complicata. Nel 2008 la Commissione europea aveva avviato una procedura d’infrazione nei confronti della Repubblica Italiana alla luce del diritto di “insistenza” o di “rinnovo”, riconosciuto al concessionario uscente ai sensi della seconda parte dell’art. 37, comma 2, del Codice della Navigazione allora in vigore. Tale parte era stata, quindi, abrogata nel 2009, con il decreto-legge n. 194, proprio al fine di ottenere l’archiviazione della procedura d’infrazione, decisa dalla Commissione nel 2012. Da allora, tuttavia, attraverso provvedimenti normativi ad hoc, le concessioni balneari esistenti erano state ripetutamente prorogate fino al 31 dicembre 2033.

A novembre del 2021, tuttavia, il Consiglio di Stato, riunito in Adunanza Plenaria, ha emesso due sentenze, le numero 17 e 18, con le quali, dopo un’approfondita ricostruzione della fattispecie giuridica e della compatibilità della normativa nazionale con quella comunitaria, ha statuito la disapplicazione delle norme interne “che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) le proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricettive” sia da parte dei giudici che della pubblica amministrazione. Qualsiasi norma che, a partire dalla data delle sentenze, avesse previsto la proroga automatica delle concessioni demaniali in essere, pertanto, non avrebbe dovuto essere applicata dagli organi competenti al rilascio delle concessioni in quanto “in frontale contrasto” con la disciplina comunitaria.

Lo stesso Consiglio di Stato, tuttavia, comprendendo il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, aveva comunque fatto salve le concessioni in essere fino al 31 dicembre 2023, confidando, medio tempore, nel riordino della materia e nella predisposizione e avvio delle procedure di gara. La speranza del giudice amministrativo, tuttavia, non è stata ripagata da una condotta coerente dei decisori pubblici.

Con l’art. 3 della Legge n. 118/2022 si è, dapprima, riportato il termine della durata delle concessioni al 31 dicembre 2023, per poi spostarlo in avanti di un anno con il decreto “milleproroghe” 2022 (decreto-legge n. 198 del 29 dicembre 2022), il quale, in sede di conversione in legge, all’art. 10-quater, comma 3, ha previsto, in attesa degli esiti dei lavori del tavolo tecnico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un’ulteriore proroga al 31 dicembre 2025 delle concessioni che “continuano in ogni caso ad avere efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi provvedimenti concessori”.

Non stupisce, pertanto, che, di fronte ad un quadro giuridico tanto “complesso”, nel corso degli ultimi anni si sia continuato ad adottare, da parte delle autorità competenti, provvedimenti di proroga delle concessioni balneari esistenti, puntualmente annullati da parte del giudice amministrativo. Anche recentemente, il 1° marzo 2023, con sentenza n. 2192/2023 il Consiglio di Stato non ha potuto far altro che ribadire quanto affermato nelle precedenti decisioni dell’Adunanza Plenaria nn. 17 e 18 del 2021, spingendosi a dichiarare la disapplicazione anche delle previsioni del citato decreto “milleproroghe” 2022 da parte di “qualunque organo dello Stato”, nonostante la norma non fosse oggetto della decisione.

Tornando, pertanto, all’attualità, la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea non fa altro che confermare la diretta applicabilità dell’art. 12 della direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricettive e, pertanto, alle relative modalità di rilascio. Il Governo Meloni dovrà, dunque, procedere quanto prima alla disciplina delle procedure di assegnazione delle nuove concessioni, tenendo in considerazione sia il termine del 31 dicembre 2023, ad oggi indicato dal Consiglio di Stato come termine ultimo di efficacia di quelle esistenti, sia il rischio della procedura d’infrazione da parte della Commissione in caso di ulteriori ritardi.

Ciò su cui, finalmente, ci si dovrà concentrare saranno i criteri di assegnazione, i quali, secondo lo stesso art. 12, possono contemperare “considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”. I margini per evitare la creazione di paventati monopoli od oligopoli nella gestione delle spiagge italiane, pertanto, esistono, quelli per continuare a non decidere no.

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