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Greenpeace e ReCommon fanno causa a Eni per le sue emissioni: è il primo caso di contenzioso climatico in Italia

La difesa dell'azienda: «Dimostreremo l'infondatezza delle accuse e la correttezza del nostro operato»

È stata presentata oggi la prima causa civile in Italia contro un’azienda per motivi climatici. Oggetto dell’azione è il gruppo Eni, leader nell’energia, mentre a depositare l’atto di citazione sono Greenpeace Italia, ReCommon e dodici privati cittadini italiani, che chiederanno al Tribunale di Roma «l’accertamento del danno e della violazione dei loro diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata». La richiesta delle associazioni ambientaliste è doppia: da un lato, chiedere l’accertamento dei danni ambientali e climatici a cui Eni ha contribuito negli ultimi decenni; dall’altro, spingere l’azienda ad adottare una nuova strategia industriale in linea con gli obiettivi climatici stabiliti a livello europeo. La data della prima udienza potrebbe essere il 30 novembre.

Le accuse contro il cane a sei zampe

Secondo Greenpeace e ReCommon, la gestione di Eni degli ultimi anni sarebbe in aperta violazione dell’Accordo di Parigi, ratificato anche dall’Italia, che impegna i Paesi a ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. In realtà, la causa presentata al Tribunale di Roma non è diretta solo a Eni, ma anche al ministero dell’Economia e delle Finanze e a Cassa depositi e prestiti, entrambi azionisti della società. Le due associazioni ambientaliste sostengono che «l’attuale strategia di decarbonizzazione di Eni sia palesemente in violazione con gli impegni presi in sede internazionale dal governo italiano e dalla stessa società». Non solo: i proponenti della causa ritengono «inaccettabile» che Eni, anche a fronte degli extra profitti record realizzati nel 2022 in piena crisi energetica, «continui a investire nell’espansione del suo business fossile, a danno del clima e delle comunità locali che in tutto il mondo subiscono gli impatti del riscaldamento globale».

Cosa sono i «contenziosi climatici»

La campagna con cui Greenpeace e ReCommon promuovono l’iniziativa legale contro Eni è stata ribattezzata «La giusta causa». Si tratta del primo esempio italiano di climate litigation, in cui un gruppo di cittadini o di associazioni fa causa a una società di diritto privato. I contenziosi climatici stanno diventando un fenomeno sempre più rilevante a livello mondiale. Le stime di Greenpeace parlano di oltre 2mila azioni legali intentate dal 2015 ad oggi. Una di quelle che hanno ricevuto più eco medatica è senz’altro l’azione legale promossa in Olanda contro Shell da Friends of the Earth, Greenpeace e oltre 17mila cittadini. Nel maggio 2021, un tribunale dei Paesi Bassi ha stabilito – in primo grado – che l’azienda petrolifera britannica è responsabile di aver danneggiato il clima del pianeta e che, per questo, deve impegnarsi concretamente per ridurre le emissioni e rivedere la propria strategia industriale.

La difesa di Eni

La risposta della società guidata da Claudio Descalzi non si è fatta attendere. «L’Eni dimostrerà in Tribunale l’infondatezza dell’azione messa in campo e, per quanto necessario, la correttezza del proprio operato e della propria strategia di trasformazione e decarbonizzazione, che mette insieme e bilancia gli obiettivi imprescindibili della sostenibilità, della sicurezza energetica e della competitività del Paese», ha spiegato un portavoce dell’azienda poche ore dopo la conferenza stampa organizzata da ReCommon e Greenpeace. Non solo: il cane a sei zampe minaccia anche una propria azione legale. «L’Eni – aggiunge il portavoce – si riserva a sua volta di valutare le opportune azioni legali per tutelare la propria reputazione rispetto alle ripetute azioni diffamatorie messe in campo da ReCommon, a partire dal ruolo che l’associazione ha cercato di ritagliarsi nell’ambito della vicenda giudiziaria Opl245, terminata con la totale insussistenza delle accuse e danni reputazionali alla società e alle sue persone». La vicenda giudiziaria cui fa riferimento Eni è la causa per presunte tangenti che Eni avrebbe pagato al ministro dell’Energia algerino in cambio di concessioni per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi nel Paese. Un processo che si è chiuso a inizio 2020 con l’assoluzione di tutti gli imputati «perché il fatto non sussiste».

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