Un milione di km percorsi per aiutare i disperati. La storia di don Gigi, il confessore dei banchieri divenuto prete degli ultimi – Il video

Dal lavoro in Vaticano, in rapporti con l’alta finanza, alla scelta di girare il mondo per aiutare ladri, senza tetto e prostitute: l’epopea di don Luigi Ginami

Una notte di maggio, nel quartiere Santa Fè, uno dei più poveri di Bogotà, un signore italiano poco sopra la sessantina esce da quella che sembra una tenda incartapecorita dove dorme uno dei tanti senza tetto del posto. Ha appena fatto amicizia con lui e gli dice «stanotte dormirò con te», sedendogli accanto e porgendogli una bevanda calda da consumare insieme a qualcosa da mangiare. Chi lo ha accompagnato lì lo frena: «Senti che puzza lì dentro». Lui lo ferma, abbraccia il barbone, lo annusa e replica deciso in spagnolo: «Non è puzza, questo è l’odore di Dio». Quel signore, avvolto in una giaccavento colore lilla, è un prete. Un monsignore della diocesi di Bergamo, Luigi Ginami. È lì in Colombia a portare aiuto a poveri e diseredati, grazie alla generosità di altri italiani che raccolgono fondi con la Fondazione Santina, che don Luigi ha creato in memoria di sua mamma. Gira il mondo incontrando disperati e portando quell’aiuto dal 2014. In queste ore sta per tornare nella sua Bergamo e durante il tragitto supererà il milione di km percorsi nel suo 56° viaggio di solidarietà per incontrare – come dice lui – i “volti della speranza”. Da Garissa in Kenya al Perù, dal Brasile al Messico, dal Vietnam alla Bolivia alla Colombia in questi pellegrinaggi don Gigi ha compiuto in 9 anni per 24 volte il giro del mondo.


Don Gigi (a sinistra) a Cartagena (Colombia), dove ha aperto un dormitorio per tossicodipendenti

Il “diario di viaggio” di don Gigi

In ogni luogo ha lasciato opere di ogni tipo: mense per poveri, pozzi per avere l’acqua, dormitori per barboni o per prostitute, adozioni a distanza per aiutare donne disperate con figli che non sono in grado di mantenere. Anche ora a Bogotà e Cartagena, dove ha aperto un dormitorio per tossicodipendenti e aiutato economicamente i senza tetto e le prostitute. Lì ha incontrato la giovane Frangelis, una ragazza lesbica di 22 anni che non ha altro modo per vivere che prostituirsi. Ora è rimasta incinta e vuole con tutte le forze tenere quel bimbo, ma sa che glielo porteranno via perché una prostituta non può tenerli. Si è fatta tatuare il suo nome sulla spalla: Ismael David, per tenerlo in qualche modo con sé. In poche ore don Gigi ha organizzato una adozione a distanza per mantenere il bambino e una possibilità di lavoro e alloggio a Bogotà per lei se vuole cambiare vita. Deciderà Frangelis.


Il tatuaggio col nome del piccolo sulla spalla di Frangelis

Il viaggio di don Gigi in Perù e l’incontro con “El Viejo Paco”

Qualche anno fa don Gigi passò il Natale in Perù, nel terribile carcere di Challapalca per il quale aveva raccolto fondi destinati a costruire al suo interno il campo sintetico da calcio più alto del mondo, a quasi 5 mila metri sopra il livello del mare. Lì celebrò la messa nel cortile e ottenne di potere confessare chi avesse voluto. A farsi avanti sorprendendo tutti fu un signore dai capelli bianchi e corporatura robusta. Il suo nome era Román Ángel León Arévalo, conosciuto da tutti come “El Viejo Paco”. Il capo di una banda di narcos peruviani – La Grande Famiglia – coinvolto in decine di terribili omicidi e vere esecuzioni. Arrestato quattro volte, altrettante evaso. Per questo l’avevano mandato lassù. Davanti a tutti El Viejo Paco si inginocchia e invoca il perdono, dicendo: «Ora Gesù è entrato nel mio cuore. Ho fatto cose terribili. Ma posso ancora essere un uomo diverso».

L’incontro di don Gigi nel carcere del Perù con il capo dei narcos locali, El Viejo Paco

Da assistente del cardinale Martini alla decisione di cambiar vita

Racconto tutto questo e potrei riempire mille pagine di storie perché don Gigi da anni me le invia a ogni suo viaggio per Whatsapp, con video e foto. E so bene che ci sono centinaia di italiani come lui, sacerdoti o laici, che ogni giorno operano così nel mondo. Ma la storia di don Gigi per me resta la più sorprendente che abbia mai visto. Non è come tante altre, e ancora di più per questo lascia a bocca aperta. Conobbi monsignor Ginami poco dopo essere diventato direttore de Il Tempo alla fine del 2002. E come tanti che lo conobbero in quegli anni fatico a riconoscere la stessa persona e perfino lo stesso prete in quello che vedo oggi in giro per il mondo. Don Gigi lavorava alla segreteria di Stato del Vaticano, dove si occupava della rassegna stampa estera del Papa. Era anche collaboratore stretto di un cardinale all’epoca assai noto e potente come Carlo Maria Martini, che molti anni dopo lo avrebbe voluto suo assistente personale nel conclave che avrebbe eletto Benedetto XVI.

Don Gigi (a sinistra) in compagnai del cardinale Carlo Maria Martini

Monsignor Ginami all’epoca frequentava fuori dalle mura vaticane solo potenti della finanza. Era il confessore dei grandi banchieri italiani (e anche di qualche imprenditore) e il precettore in molti casi dei loro figli. Lo trovavi a cena a casa del governatore della Banca di Italia, Antonio Fazio, come in quella a Marino del banchiere più potente dell’epoca, Cesare Geronzi. Quando avevo bisogno di qualche commento autorevole sulla finanza da pubblicare sulle colonne del quotidiano romano che dirigevo, bastava una telefonata a lui e nel giro di poche ore mi arrivavano articoli firmati dai più importanti banchieri italiani che mai avrei pensato di potere avvicinare. Don Gigi era un passepartout in quel mondo: era in grado di aprire ogni porta, e per questo talvolta era anche chiacchierato. Ma le vite cambiano anche in modo così sorprendente come è accaduto al prete dei banchieri, che oggi si inginocchia nel mondo di fronte a ladri, prostitute e disperati.

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