Aspartame «possibile cancerogeno»: ecco perché dobbiamo evitare l’allarmismo

Le prove di cancerogenicità del noto dolcificante nell’uomo sono limitate: tutto dipende dalle dosi considerate sicure

Il prossimo mese, secondo due fonti anonime riportate dall’agenzia Reuters, l’aspartame, uno dei dolcificanti più conosciuti al mondo, utilizzato in prodotti come le bibite dietetiche, potrebbe essere riconosciuto dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) come «possibile cancerogeno per l’uomo». Questa dichiarazione se confermata potrebbe mettere l’industria alimentare in conflitto con le agenzie regolatorie. Il successo dell’aspartame si spiega col fatto che è 200 volte più dolce dello zucchero ma senza apportare un elevato contenuto calorico. Per questo è ampiamente utilizzato nelle bevande dietetiche di grandi marchi come Coca-Cola, Pepsi e 7 Up. In generale è presente in circa seimila prodotti alimentari.


Perché l’Aspartame potrebbe finire nel Gruppo 2B

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) utilizza un sistema di classificazione composto da quattro categorie per valutare la cancerogenicità delle sostanze:


  • Gruppo 1 – riservato alle sostanze per le quali esistono prove sufficienti di cancerogenicità.
  • Gruppo 2A – sostanze che sono considerate «probabili cancerogeni».
  • Gruppo 2B – comprende le sostanze classificate come «possibili cancerogeni».
  • Gruppo C – sostanze per le quali non sono disponibili prove di cancerogenicità e per questo sono classificate come «sospetto cancerogeno».

Tanto per dare un contesto ricordiamo come spiegato in una precedente analisi, che il gruppo 2B in cui sarebbe destinato l’aspatrame troviamo anche le onde a radiofrequenza e altre sostanze di uso comune, come l’aloe vera, le verdure asiatiche in salamoia e il diesel. Secondo la nostra AIRC si tratta infatti di «agenti per i quali vi è una limitata prova di cancerogenicità negli esseri umani e un’insufficiente prova di cancerogenicità in animali di laboratorio». Una rassicurazione ci arriva dalle parole di Kevin McConway, professore di Statistica presso la Open University, intervistato dalla BBC.

La categorizzazione IARC non ci dirà nulla sull’effettivo livello di rischio dell’aspartame, perché non è questo il significato delle categorizzazioni IARC.

Tutto dipende dalle dosi considerate sicure

La IARC infatti ci dice quanto sono forti le prove, ma non quanto sia rischiosa una sostanza per la salute, né stabilisce i dosaggi consentiti. L’Agenzia si basa sull’analisi di tutte le prove pubblicate al fine di valutare se una sostanza rappresenta un potenziale pericolo o meno. Tale valutazione non tiene conto della quantità di prodotto che una persona può consumare in modo sicurezza. Le raccomandazioni per i consumatori derivano infatti dal Comitato di esperti congiunto dell’OMS (JECFA) e dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura sugli additivi alimentari, insieme alle agenzie regolatorie dei vari Paesi.

Non si tratta di una “sentenza” che cade dal cielo inaspettata. Parliamo di un processo complesso e continuo. L’aspartame è stato oggetto di ampi studi nel corso degli anni. Una ricerca osservazionale condotta in Francia basata su oltre 100 mila adulti, ha concluso che consumare quantità elevate di dolcificanti artificiali come l’aspartame sarebbe associato a un leggero aumento del rischio di cancro, si trattava però di risultati preliminari e limitati. IARC per la sua revisione ha analizzato invece ben 1300 studi. Restiamo in attesa dell’annuncio ufficiale da parte della IARC previsto per il 14 luglio. Intanto vediamo già le conseguenze di tutto questo in Borsa: secondo Bloomberg i produttori cinesi di dolcificanti sostitutivi ne starebbero già beneficiando.

Foto di Towfiqu barbhuiya su Unsplash

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