Perde la causa per il figlio disabile, Elena Improta condannata a pagare 300 mila euro: «Faccio lo sciopero della fame» – I video

Ventisette anni fa si era rivolta alla giustizia chiedendo un risarcimento per i danni subiti dal bambino al momento del parto, avvenuto in una clinica di Roma

«Uno sciopero della fame per tutelare il diritto alla vita e al futuro di mio figlio Mario». Elena Improta, mamma di Mario, affetto da tetraparesi spastica, è al quinto giorno di sciopero della fame. 27 anni fa si era rivolta alla giustizia chiedendo un risarcimento per i danni subiti dal figlio al momento del parto, avvenuto in una clinica di Roma. Ma a distanza di quasi trent’anni ha perso la causa, definita dalla stessa «violenta e inappellabile». Improta è stata infatti condannata a pagare 300 mila euro di spese legali. «Una cifra lievitata con il passare degli anni – spiega in un video su Facebook – che io non ho e non posso affrontare». Per questo motivo, ha deciso di smettere di mangiare. «Non ho questi soldi, mi resta solo la casa, il solo ossigeno per me e mio figlio Mario», continua in un appello alla clinica e alle assicurazioni.  Elena Improta spiega nel filmato che di tutti gli specialisti consultati «nessuno ha messo in relazione lo stato di Mario con una possibile malattia rara: tutto conferma ragionevolmente – sottolinea – un nesso tra il parto e la sofferenza ipossico ischemica, ovvero l’assenza di ossigeno».


Ma il tribunale le ha dato torto, condannandola a un maxi risarcimento. In 27 anni di causa ha tentato «due volte» di aprire un dialogo con le controparti «per arrivare ad una transazione bonaria», dice. «Sul vitalizio prospettato a voce – continua – avevamo solo chiesto una garanzia a supporto a tutela di Mario come è prassi, ma a questa nostra richiesta tutto si è bloccato. Io e Mario per tramite dei nostri avvocati non abbiamo mai ricevuto una proposta scritta che potesse essere presentata dall’Amministratore di sostegno al Giudice tutelare. Una madre ha il diritto dovere di tutelare fino all’ultimo suo figlio anche a livello processuale laddove la legge prevede fino al 5 grado di giudizio». E poi ancora: «Questo appello ha un significato preciso: non chiediamo l’elemosina così come non abbiamo mai chiesto a nessuno aiuti economici, ma uno stralcio dell’ingente somma richiesta di rimborso spese legali alla Clinica e alle altre controparti», conclude. La vicenda dolorosa sta trovando solidarietà da più parti. «Elena mi ha raccontato la sua storia di coraggio e tenacia, in una battaglia che porta avanti da anni a tutela del diritto alla vita e al futuro di suo figlio affetto da tetraparesi spastica anche attraverso l’associazione “Oltre lo sguardo” da lei fondata», racconta Andrea Catarci, assessore al Decentramento del comune di Roma.


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