Torino, 42enne si lascia morire di fame e sete in carcere. La garante dei detenuti: «Nessuno ci ha informati». Ilaria Cucchi: «Si faccia chiarezza, tragedia intollerabile»

La donna, originaria della Nigeria, da tre settimane rifiutava cibo e acqua, ma nessuno sarebbe intervenuto. Il legale della donna: «Attendiamo l’autopsia, ma se si sono accorti che non mangiava e non beveva avrebbero dovuto agire»

Si è lasciata morire di fame e sete in carcere. Susan John, 42enne originaria della Nigeria, è morta la scorsa notte nella sezione femminile della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino. La donna era stata trasferita da Catania a Torino lo scorso 22 luglio, perché nel capoluogo piemontese risiedono il marito e i due figli minorenni. La donna era stata condannata a 10 anni e 4 mesi per tratta di persone. Non è chiaro cosa sia accaduto davvero in queste settimane, perché la donna non ha mai protestato, ma avrebbe lasciato un biglietto in cella: «Se mi capita qualcosa avvisate i miei avvocati». Monica Cristina Gallo, garante comunale per i diritti dei detenuti a Torino, si è detta «rammaricata», sottolineando però che «dal carcere non ci sono mai giunte segnalazioni relative al caso di questa persona: i nostri contatti sono regolari, eppure nessuno ci aveva informato. Probabilmente non sarebbe cambiato nulla, ma almeno avremmo potuto attivare le nostre procedure e tentare qualcosa». Gallo ha puntualizzato che le informazioni su questo tipo di casi, anche in chiave preventiva, andrebbero scambiate: «Credo che sia il minimo, perché si tratta di salvare delle vite». Sul caso è intervenuta anche la senatrice Ilaria Cucchi«Questa è una tragedia che non può essere tollerata in un Paese che si professa civile e democratico. Una morte di cui comunque è responsabile lo Stato che aveva in custodia la vita della vittima. Non capisco cosa c’entrano in questo i sindacati degli agenti. Chiedo venga fatta chiarezza anche per questo».


L’apertura dell’inchiesta e la posizione dei sindacati di polizia penitenziaria

Sul caso è stato anche aperto un fascicolo dal pm Delia Boschetto, che ha disposto l’autopsia sul corpo della donna al fine di chiarire le cause del decesso, ma anche per far luce su come sia stato possibile che la donna sia morta senza intervento medico. Il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, in una nota, ha fatto sapere di essere intervenuto, spiegando però che «a nulla sono servite le sollecitazioni ad alimentarsi da parte dei medici e del personale». Nei giorni scorsi il sindacato Osapp aveva lanciato l’allarme relative ad alcune disfunzioni sanitarie all’interno del carcere di Torino. Il sindacato ha contestato la richiesta di piantonamento a vista per alcuni detenuti considerati particolarmente a rischio o con problemi psichiatrici che, secondo l’Osapp, «non dovrebbero stare in carcere, ma in strutture apposite».


Il legale della 42enne: «Attendiamo l’autopsia, ma se si sono accorti che non mangiava e non beveva sarebbero dovuti intervenire»

Wilmer Perga, legale di Susan John, in un’intervista a Torino Cronaca, ha spiegato di essere stato contattato a inizio agosto da Elena Lombardi Vallauri, direttrice del carcere di Torino. Vallauri ha informato l’avvocato che la donna «non stava mangiando». Perga spiega di aver contattato il marito della 42enne che a sua volta «5-6 giorni fa mi aveva detto che sarebbe andato a trovarla appena possibile, ma con i turni in fabbrica e i due figli non aveva ancora fatto in tempo». Secondo quanto riferito dal legale, la donna non aveva dato segnali di problemi psicologici: «Non riusciamo a capire cosa sia successo, forse il fatto che parlasse solo inglese non l’ha aiutata a inserirsi, ma non ha mai chiesto aiuto né a noi né al marito». E il legale tiene il punto: «Se però si sono accorti che non mangiava e soprattutto che non beveva avrebbero dovuto intervenire, eventualmente anche con un Tso, anche perché di sicuro con la sua condanna non poteva essere scarcerata. Bisogna anche capire se il magistrato di sorveglianza era stato avvisato delle sue condizioni». E il legale conclude: «Prima prima di dare qualunque giudizio e di decidere se e come procedere, vogliamo attendere gli esiti dell’autopsia».

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