Gimbo Tamberi vuole l’oro ai Mondiali: «Senza mio padre ho una pace mentale inedita»

È pronto per cercare di portare a casa l’unico trofeo che gli manca. Ed elogia la nuova guida tecnica

Gianmarco Tamberi ha ritrovato il salto dentro di sé. Si è svegliato senza dolori. «Né alle gambe né alla schiena: è la prima volta che mi capita in 31 anni, una cosa pazzesca», dice oggi nell’intervista al Corriere della Sera. A Budapest lo attende il tentativo di conquistare l’unica medaglia d’oro che manca alla sua collezione: il Mondiale. «È il mio chiodo fisso dall’inizio della preparazione, quando l’anno scorso abbiamo impostato il lavoro con il nuovo team. Non ho mai vinto nessuna medaglia, però io non ne voglio una qualsiasi. Deve essere d’oro», dice a Gaia Piccardi. Perché «sto bene, e questo mi basta. Il Mondiale si vincerà intorno a 2,37: non penso che mi manchi molto». Mentre il salto perfetto «esiste e va fatto nel posto giusto, al momento giusto, approfittando di una serie di fattori favorevoli».


La nuova guida tecnica

Gimbo parla della nuova guida tecnica, l’ex saltatore Giulio Ciotti: Dall’inizio abbiamo dato la priorità alla prevenzione dei problemi: se sto bene, salto molto in alto, questo l’abbiamo capito. L’anno scorso ero stato martoriato da guai importanti: basta, non ne potevo più. La stagione è stata impostata su allenamenti tranquilli e differenziati, ascoltando molto il mio corpo per non arrivare mai al limite. In Coppa Europa mi sono stupito: motivato a mille, sicuro di me, in pieno stato di benessere fisico. Ero contento, ma anche strabiliato». Ma sono le tensioni con papà Marco scomparse a dargli più forza: «Avverto una pace mentale inedita, sì. Dopo dodici anni con lo stesso coach mi ero convinto che cambiare fosse impossibile. Mi sono deciso alle finali della Diamond League, quando ho vinto con 2,34, saltando da solo. Papà non mi allenava già da un mese».


Il vero motivo della separazione

Il campione spiega che «alla fine, il vero motivo della separazione è il disallineamento tra le mie sensazioni e le sue convinzioni. Dallo scollamento nasceva lo scontro. Oggi gli dico grazie mille però l’errore è stato non capire che non ero più un atleta da formare. Adesso cammino sulle mie gambe». La nuova squadra invece «ascolta e recepisce i miei feedback. Il salto è sempre quello, non è mutato: a 31 anni, con tredici anni di atletica sulle spalle, non ho bisogno di una nuova rincorsa o di un nuovo stacco. La verità è che Giulio mi ha aiutato a ritrovare il salto che era dentro di me». Infine, due parole su Marcell Jacobs: «Se sta bene, è fattibile: sono 100 metri, si può permettere di debuttare al Mondiale. La testa farà la differenza. A me al Mondiale e all’Olimpiade scatta dentro qualcosa, altre volte mi è capitato di esordire nella gara secca. Se è a Budapest, è pronto».

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