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Roma, dichiarò di aver investito e ucciso un uomo per coprire il figlio 18enne senza patente. Ma la donna non andrà a processo: ecco perché

Emanuele Catenazzi morì investito dal Suv a febbraio. Per il codice penale la donna non è perseguibile nonostante abbia mentito agli inquirenti

Aveva dichiarato di essere lei alla guida del Suv che investì e uccise un giovane, Emanuele Catenazzi, lo scorso 9 febbraio a Roma. Il giovane era insieme alla sua ragazza sul bordo di un marciapiede in viale dell’Archeologia nel quartiere romano di Tor Bella Monaca quando è stato colpito. Catenazzi è poi morto al Policlinico di Tor Vergata per le ferite riportate. Ma alla guida della Bmw di grossa cilindrata, è poi emerso, non era la donna rea confessa. Al voltante c’era invece il figlio della donna, un 18enne ancora senza patente e che non era ancora in possesso neppure del foglio rosa. La donna, però, non andrà a processo. Le dichiarazioni mendaci della madre, secondo la legge italiana, non costituiscono infatti reato di favoreggiamento, perché questo non è contestabile per i parenti di primo grado di chi ha commesso un crimine.

La ricostruzione e cosa dice la legge

Erano le 14.30 del 9 febbraio scorso quando il 18 enne si è messo alla guida dell’automobile noleggiata due giorni prima dalla madre. Non avrebbe dovuto, non aveva la patente. Tuttavia, aveva deciso comunque di salire sulla Bmw per fare qualche giro per la periferia est di Roma, forse per impratichirsi un po’. Il ragazzo, secondo le testimonianze, andava oltre il limite urbano dei 50 all’ora quando ha deciso di sorpassare, in curva, un autobus che lo precedeva. Il giovane però ha perso il controllo dell’auto, ha così invaso la corsia opposta finendo contro quattro macchine parcheggiate. Nella manovra spericolata è stato investito il 29 enne Emanuele Catenazzi che ha perso la vita in ospedale per le ferite profonde causate dall’incidente. Il ragazzo, sconvolto per quanto successo, ha deciso di chiamare subito la madre per capire cosa dovesse fare. La donna, arrivata in viale dell’Archeologia, ha deciso di prendersi le colpe del figlio per questo. Una volta giunta la Polizia locale, ha dunque dichiarato che era stata lei a causare l’incidente: «Forse ho perso il controllo della mia macchina a causa di un’altra auto uscita all’improvviso da una traversa laterale». La donna era stata perciò iscritta nel registro degli indagati e aveva dovuto anche sottoporsi a un esame tossicologico, che era risultato negativo. Ma i testimoni sul posto e i filmati delle videocamere hanno rivelato la sostituzione di persona. La Procura di Roma ha perciò chiesto il processo per il ragazzo per omicidio stradale. La donna quindi non è più indagata, ma ha evitato anche l’accusa di favoreggiamento. Questo perché, secondo l’articolo 384 del codice penale «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se medesimo o un prossimo congiunto» da una limitazione della propria libertà o danno nell’onore.

(foto in copertina di Clark Van Der Beken su Unsplash)

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