Festival di Open, la Parma food valley tra eccellenze e futuro. Barilla: «Nel mondo tutti vogliono un pezzo d’Italia, bisogna tutelarla»

Sul palco in piazza Garibaldi gli imprenditori delle filiere dibattono su ciò che sarà dei prodotti sulle nostre tavole. Tradizione e cultura, gli ingredienti per conquistare i mercati

Tutte le filiere produttive riunite su un unico palco, questo è stato il panel con protagonista Fondazione Parma Unesco Creative City of Gastronomy. Un ente che ha come obiettivi la valorizzazione del territorio della Parma food valley e il fare squadra tra lavoratori, produttori e distribuzione da quando nel 2015 la città è stata inserita nell’elenco Unesco delle città creative. «Abbiamo fatto tutti una capriola», commenta soddisfatto lo chef stellato Massimo Spigaroli. Dall’istituzione della fondazione, nel 2017, è stata una continua gara per confermarsi e meritarsi quel riconoscimento: «Nel momento in cui arriva gioisci ma poi c’è un sacco di lavoro da fare, c’è il territorio, una visione di quello che vuole essere Parma tra 20 e 30 anni», spiega Paolo Barilla, vice-presidente dell’omonima azienda. Ciò che raccontano le realtà imprenditoriali intervenute dal palco di piazza Garibaldi è un intenso legame tra territorio e comunità, prodotto e cittadini, perché solo così l’Italia e Parma possono conquistare i mercati mondiali, con le loro eccellenze.


Le sfide del futuro

Sul futuro della Fondazione Parma Unesco e sui suoi compiti si interroga l’imprenditore Francesco Mutti, ad del gruppo omonimo e rappresentante della filiera del pomodoro all’interno della Fondazione. Alla base del successo dell’ente ci sono due elementi fondamentali, presenti nella ricetta di ogni eccellenza del gruppo: la tradizione e la cultura. «Il parmigiano reggiano è stato scoperto, coltivato e prodotto, ma è necessario che si accompagni alla cultura, essendo consapevoli del rischio che comporta la globalizzazione». Non si può rinunciare all’innovazione, alla ricerca e allo sviluppo. D’altronde, aziende come quella fondata dal bis-nonno di Irene Rizzoli, amministratrice delegata di Delicius, non sarebbero potute nascere senza la contaminazione con le competenze conserviere del pomodoro sviluppate a Parma. Contaminarsi non vuol dire tradire il territorio, ma anzi tutelarlo attraverso i mezzi che il mercato propone. Si può anche andare alla ricerca dell’innovazione con veri e propri gruppi di “esplorazione”, come spiega il general manager di Parmalat Maurizio Bassani: «Dei ragazzi vanno a ricercare cose che non penseresti possano essere utili all’azienda ma che in realtà la faranno crescere». La sfida dell’Italia è “enorme”, come ribadiscono Barilla e Mutti, perché non potendo puntare sulla grande produzione, per imporsi all’estero deve preservare e scommettere sulle eccellenze che si hanno.


I rischi del futuro

«L’essere umano è come un pomodoro, gli piace il caldo ma non un clima torrido», spiega Mutti. Con queste poche parole il manager allude a quali possano essere le conseguenze del cambiamento climatico. Se dovesse continuare l’innalzamento delle temperature anche la coltivazione della pianta sarebbe a grave rischio. Perciò è essenziale spendersi per politiche ambientali che tutelino insieme il territorio, la comunità e i suoi prodotti. Sull’attuale rallentamento dell’economia il dottor Barilla ha voluto lanciare un messaggio di resilienza e speranza. Le potenzialità dell’Italia sono note e riconosciute da tutti, bisogna puntare su di esse perché: «Sebbene siamo grandi come una pulce, nel mondo tutti vogliono un pezzo d’Italia».

Un prodotto che si fa comunità

La filosofia della Fondazione è quella di mettere insieme le expertise e la crescita della comunità. «Non vendiamo solo un pezzo di carne, nel nostro prosciutto dietro c’è una famiglia con dei valori da trasmettere e da far conoscere ai suoi consumatori», spiega Federico Galloni, Vice Presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma. L’importanza del rapporto tra azienda e territorio è al centro anche della mission di Parmalat, raccontata da Maurizio Bassani: «Non bisogna pensare solo al fabbisogno del consumatore. Siamo in una nuova fase. Siamo passati ai fabbisogni di una comunità. Un’azienda non ha più solo l’obbligo di produrre prodotti eccellenti, deve anche avere una visione a 360 gradi dell’impatto che ha sul territorio». Ma non solo, la cultura e la coltura dei prodotti sono una calamita che attrae ogni anno migliaia di turisti. Un turista straniero su due e un italiano su quattro, come riporta Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano, progetta le proprie vacanze in base alle esperienze enogastronomiche: «Avere dei prodotti come il nostro permette di portare sul territorio persone che vogliono sapere di quel mondo e che magari, per esempio, si fermeranno per studiare e lavorare in Italia».

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