Nagorno-Karabakh, i separatisti depongono le armi: «Accettate proposte russe». Partono i negoziati con Baku

Mosca aveva esortato a «fermare gli spargimenti di sangue». Domani, a Yevlakh, inizieranno le trattative

Congelata l’escalation armata nella regione del Nagorno-Karabakh. I separatisti hanno accettato la proposta di cessate il fuoco elaborata dai peacekeeper russi. Contestualmente, anche il governo di Baku ha confermato la cessazione delle ostilità. La tregua è scattata alle 13 ora locale, le 11 in Italia, di mercoledì 20 settembre. Deposte le armi, adesso, si attende l’inizio dei negoziati, che avranno luogo domani a Yevlakh, città azera. Sono le agenzie di stampa russe, Interfax e Ria Novosti, a comunicare la notizia. Che è arrivata poco ore dopo l’annuncio dell’Azerbaigian di proseguire nello sforzo militare: «Le attività antiterroristiche condotte dalle forze armate della Repubblica dell’Azerbaigian nella regione economica del Karabakh continuano con successo», aveva dichiarato il ministero della Difesa nelle prime ore di oggi. Aggiungendo: «Le unità dell’esercito dell’Azerbaigian hanno neutralizzato posizioni di combattimento, veicoli militari, lanciatori di artiglieria e di missili antiaerei, stazioni radioelettroniche e altri mezzi militari appartenenti a formazioni delle forze armate armene». L’offensiva militare, iniziata ieri, 19 settembre, puntava alla resa dell’Armenia.


L’intervento di Mosca

La Russia era intervenuta subito dopo l’esplosione del conflitto, chiedendo di cessare immediatamente spargimenti di sangue. «A causa della rapida escalation delle ostilità armate nel Nagorno-Karabakh, invitiamo fortemente le parti in conflitto a fermare immediatamente gli spargimenti di sangue, a cessare le ostilità e a prevenire vittime tra la popolazione civile», aveva dichiarato il ministero degli Esteri russo in un comunicato. Mosca, comunque, aveva puntato il dito contro l’Unione europea: «Il processo di insediamento del Nagorno-Karabakh è stato profondamente influenzato dal riconoscimento ufficiale del Nagorno-Karabakh come parte del territorio dell’Azerbaigian da parte di Erevan durante i vertici tenuti sotto l’egida dell’Unione europea, nell’ottobre 2022 e nel maggio 2023. Ciò ha cambiato drasticamente le condizioni fondamentali nelle quali è stata firmata la dichiarazione trilaterale dei leader di Russia, Azerbaigian e Armenia, il 9 novembre. Ha influenzato anche la situazione relativa alle forze russe di mantenimento della pace». E dunque, Mosca aveva chiesto alle parti di tornare a rispettare gli accordi trilaterali di Russia, Azerbaigian e Armenia sul Nagorno-Karabakh.


Le tensioni

Il Karabakh è riconosciuto a livello internazionale come territorio azerbaigiano, ma una parte di esso è gestita dalle autorità armene separatiste che affermano che sia la loro patria. Le autorità azere avevano giustificato la loro azione militare adombrandola con uno scopo difensivo, meglio «antiterroristico», per limitare l’aggressività della controparte. Da Erevan, capitale dell’Armenia, era stato definito l’accaduto come «un atto di aggressione su larga scala». E aveva dichiarato che nel Nagorno-Karabakh non ci sono sue forze. Non è chiaro se negli intenti di Baku ci fosse quello di innescare un conflitto su vasta scala nel territorio armeno, con il rischio di alterazione dell’equilibrio geopolitico nel Caucaso meridionale. Negli scontri delle scorse ore, era stata segnalata l’uccisione del sindaco della città separatista filo-armena di Martuni.

L’appello di Washington

Anche Washington aveva tentato di porre un freno alle ostilità, esortando l’Azerbaigian a fermare l’azione militare lanciata martedì nel Nagorno-Karabakh, controllato dagli armeni. Secondo quanto riportato da Reuters, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha avuto delle interlocuzioni sia con il presidente azero Ilham Aliyev sia con il primo ministro armeno Nikol Pashinyan.

Aliyev aveva ribattuto che l’offensiva si sarebbe fermata solo se i separatisti armeni avessero deposto le armi, scrive Afp. Per poi assicurare che «la popolazione civile e le infrastrutture non sarebbero state prese di mira, ma sarebbero stati distrutti solo gli obiettivi militari legittimi». Aveva anche affermato che le «cosiddette elezioni presidenziali» organizzate il 9 settembre dai separatisti armeni erano stata «un prosieguo di deliberate provocazioni contro la sovranità dell’Azerbaigian».

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