Iran, è morta Armita Geravand: chi era la 16enne picchiata dalla polizia perché non indossava il velo

Dalla versione (sospetta) delle autorità a quella dei medici, fino alla denuncia delle ong: la storia della 16enne finita in coma per quasi un mese

Armita Geravand, la ragazza di 16 anni finita in coma il 1° ottobre dopo essere stata picchiata dalla polizia iraniana perché non indossava il velo nella metro di Teheran, è morta. Lo annuncia l’agenzia di stampa iraniana Borna, legata al Ministero della Gioventù e dello Sport. La 16enne era ricoverata da 28 giorni all’ospedale Fajr di Teheran dove le era stato dichiarato lo «stato di morte cerebrale». La storia di Geravand è caratterizzata da circostanze sospette che fin da subito hanno messo in moto la macchina delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani. La versione delle autorità, infatti, non ha mai trovato riscontro in quella dei medici.


La versione (sospetta) delle autorità e quella dei medici

Le autorità avevano dichiarato che l’adolescente sarebbe stata vittima di un «crollo nervoso», negando l’ipotesi che ci fosse stato «scontro verbale o fisico tra lei e i passeggeri o i dirigenti della metropolitana». Ma i dottori hanno poi smentito questa versione. La ragazza, a loro avviso, avrebbe «subito una caduta con conseguenti danni cerebrali, seguita da continue convulsioni, diminuzione dell’ossigenazione cerebrale ed edema cerebrale, dopo un improvviso calo delle capacità motorie».


La denuncia delle Ong: «Massacrata perché senza velo»

Le organizzazioni umanitarie hanno da subito tentato di ricostruire i contorni della vicenda. La studentessa sarebbe stata aggredita dalla polizia morale, che ha il compito di verificare la corretta applicazione delle rigide regole di abbigliamento che il regime iraniano impone alle donne. E Geravand sarebbe stata picchiata proprio perché non indossava l’hijab, in violazione quindi della legge che ne prevede l’obbligo per tutte coloro che si muovono negli spazi pubblici. La prima a rendere pubblico il ricovero di Armita era stata Hengaw, Ong curda per i diritti umani con sede in Norvegia, che aveva pubblicato sui social foto (non confermate) attribuite alla 16enne, che la ritraevano priva di sensi con un tubo respiratorio e una benda sopra la testa.

Donna, vita, libertà

I difensori dei diritti umani temevano che Geravand potesse finire ad affrontare la stessa sorte di Mahsa Amini, la 22enne di origini curde morta sotto custodia della polizia morale dopo essere stata fermata perché non indossava correttamente il velo. Un episodio che ha scatenato un’ondata di proteste antigovernative in Iran. Numerose persone sono morte (e arrestate altrettante) a causa della repressione violenta della polizia. Per quanto partecipate, le manifestazioni dello scorso anno non sono riuscite a rovesciare il sistema politico iraniano. Ma la tentata rivoluzione ha dato vita a un movimento di resistenza qualificato soprattutto da donne che ancora oggi nelle città più grandi continuano a sfidare le regole girando senza velo, in nome del motto femminista «Donna, vita, libertà».

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