Corrado Augias spiega il suo addio a Viale Mazzini: «Il governo sta demolendo la Rai»

Il giornalista: sono vecchio e vorrei continuare a lavorare con persone amiche in un ambiente cordiale

Corrado Augias ha annunciato ieri 6 novembre il suo addio alla Rai e il suo approdo a La7. Sulla tv di Urbano Cairo condurrà La Torre di Babele da lunedì 4 dicembre. Il programma in prima serata avrà un ospite in ogni puntata. Oggi, in un articolo su Repubblica, il giornalista e scrittore spiega la sua scelta partendo dal racconto della Rai di Fabiano Fabiani: «Quando sono entrato in azienda (1° luglio 1960, per concorso) la Rai era un feudo democristiano. Ettore Bernabei, poco dopo, divenne il dominus, la Dc era il suo partito, Amintore Fanfani il referente. L’atmosfera politica era angusta ma il livello culturale faceva della Rai una delle migliori televisioni europee».


Il pluralismo e la lottizzazione

Poi racconta del trasferimento del controllo dell’azienda dal governo al Parlamento nel 1975 e del pluralismo garantito attraverso «una forma scientifica di lottizzazione», con la prima rete ai democristiani, la seconda ai socialisti e la terza ai comunisti. E spiega che ad ogni cambio di maggioranza in Rai sono arrivati «nuovi fedeli. Tutti accomunati dallo stesso desiderio: occupare un incarico di un certo prestigio, avere uno stipendio migliore». Nel 2022, con il governo Meloni, secondo Augias «gli obiettivi sono diventati più numerosi». Perché «si è aggiunta la voglia di raccontare daccapo la storia. Finora ne abbiamo avuto solo qualche accenno anche perché non è che abbondino, da quella parte, quelli in grado di farlo. Temo di sapere che di qui a qualche mese questo impulso crescerà di forza, se le cose resteranno come oggi sono».


Un governo approssimativo e incompetente

Secondo Augias un governo «approssimativo e incompetente» ha prodotto «il massimo di efficienza nella progressiva distruzione della Radiotelevisione italiana. Ho visto negli ultimi mesi dilettantismo, scelte improvvide, la presunzione che una pedina valga l’altra, l’inconsapevolezza che l’efficacia televisiva è una delicata miscela di professionalità e congruenza con l’argomento, la dimenticanza che l’egemonia culturale non si può imporre piazzando un fedele seguace qua e uno là. Sono materie (non le sole, del resto) in cui la competenza deve prevalere sulla fedeltà». Questo, dice, lo ha spinto fuori dalla Rai «senza bisogno che qualcuno mi chiedesse di accomodarmi. Se fossi stato più giovane sarei rimasto cercando, se possibile, di riequilibrare un po’ la deriva. Però sono vecchio e vorrei continuare a lavorare, fin quando avrò sufficiente consenso, con persone amiche in un ambiente cordiale. Resta questa brutta storia, avevano annunciato di voler demolire la Rai dei comunisti; stanno semplicemente demolendo la Rai».

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