Processo Zuncheddu, l’ex poliziotto nega le pressioni sul testimone chiave: il confronto in aula

Oggi in corte d’appello il confronto tra Mario Uda e Luigi Pinna, unico superstite della strage del Sinnai

«Non sono preoccupato, sono arrabbiato per tutto quello che mi sta piovendo addosso» dice l’ex ispettore di polizia Mario Uda, chiamato oggi alla Corte d’Appello di Roma in relazione alla vicenda di Beniamino Zuncheddu, l’ex allevatore sardo di 58 anni, che ha passato 32 anni in carcere perché accusato di triplice omicidio. Un’imputazione da lui sempre respinta. Ad inchiodarlo fu la testimonianza dell’unico sopravvissuto all’agguato di quella notte, nel lontano 1991: Luigi Pinna. Che lo scorso 14 novembre aveva però rivelato le presunte pressioni ricevute per indicare l’allevatore, all’epoca 27enne, come colpevole. Pressioni che sarebbero arrivate appunto da Uda. Un punto, nello specifico, doveva essere chiarito: il poliziotto aveva o no mostrato una foto di Zuncheddu a Pinna prima del riconoscimento, che sarebbe stato in questo modo “pilotato”? Il teste chiave ha sostenuto e ribadito oggi 12 dicembre di sì. Versione negata da Uda: «Ho 75 anni, all’epoca dei fatti ne avevo 42: che interesse avevo a fare sciocchezze di questo genere? È fuori dal mio modo di essere». In aula era presente anche Zuncheddu, uscito dal carcere alla fine di novembre, dopo la decisione della Corte d’Appello sull’istanza di libertà condizionale inoltrata dal suo avvocato, Mauro Trogu.


Le ricostruzioni

«Stiamo parlando di 33 anni fa – prosegue Uda -. Le indagini che si facevano allora non erano minimamente paragonabili a quelle di oggi. Bisognava avvicinare le persone, acquisire la loro fiducia, sul territorio. Ma non ho mai fatto quello di cui mi accusano». Un altro punto nevralgico è poi emerso nel corso del lungo ed estenuante confronto: Pinna ha dichiarato che Uda gli comunicò una serie di informazioni su Zuncheddu, come la sua assenza di alibi, o le presunte minacce che avrebbe fatto al cognato di Pinna (una delle vittime dell’eccidio) nel momento in cui gli mostrò la foto in questione. Circostanza negata da Uda, che tuttavia a detta di Pinna sarebbe stata determinante nell’identificazione. «In questi giorni ho avuto modo di riflettere – ha affermato ancora Uda – Ricordo perfettamente che andai a visitare in ospedale a trovare Pinna, che era ancora ferito. Dalle descrizioni che fece c’erano molte incongruenze che andavano chiarite. In seguito si decise di fargli fare un identikit, che però non fece altro che aumentare le perplessità». Dopo questo identikit, racconta Pinna, gli sarebbe stata mostrata la foto incriminata. «Uda è una persona rispettabile: penso che fosse convinto più di me (di agire nel giusto, ndr)», ha specificato Pinna. «Se dovessi tornare indietro – ha aggiunto -, probabilmente farei lo stesso errore».


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