Beniamino Zuncheddu, innocente in carcere per 32 anni. «Non ho mai fatto male a una mosca: ero l’uomo semplice da incastrare»

Il racconto dell’uomo al Corriere della Sera: dal giorno dell’arresto a quello del rilascio

«In questi trentadue anni ho imparato che non sono l’unico innocente. In carcere, anche nel mio carcere, quello di Uta, ci sono altri uomini ingiustamente dentro e purché uno abbia voglia di leggersi davvero le carte allora la verità può venire fuori», Beniamino Zuncheddu condannato all’ergastolo per triplice omicidio si è sempre dichiarato innocente. Il testimone chiave durante il processo ha rivelato di aver ricevuto delle pressioni durante l’interrogatorio. Ora Beniamino ha ricevuto una sospensione della pena, ma è stato dietro le sbarre per 32 anni. L’uomo, la cui storia è diventata una battaglia anche dei Radicali italiani, racconta al Corriere della Sera: «Dentro si pensa a tante cose ma per sopravvivere ho dovuto rinunciare a molte cose. Scoraggiavo i miei stessi progetti, mi ripetevo “Beniamino non sognare”». Il superteste Luigi Pinna, riporta il Corriere, sarebbe stato pilotato dal dirigente di polizia Mario Uda che, come ha ricostruito un’inchiesta bis, mise in mano al testimone del massacro di Sinnai, la foto di Zuncheddu, un servo pastore con la seconda media, chiedendogli implicitamente di indicarlo. Adesso la Corte d’Appello dovrà decidere in merito alla revisione processuale del massacro del Sinnai. Il 19 dicembre è prevista la discussione.


Il giorno dell’arresto e il giorno del rilascio

Zuncheddu ricorda il giorno dell’arresto. «Ricordo ancora quel giorno. Era pomeriggio e io ero tornato dal lavoro. Ricordo che mi ero fatto una doccetta per poi uscire in paese. Non avevo la fidanzata ma dopo il lavoro facevo sempre due passi. Bussarono alla porta di casa e mi dissero “Dobbiamo fare qualche verifica, ci aiuta?”. Non avevo nulla da nascondere. Mi misi a disposizione. Non potevo immaginare…». «I miei compagni di cella sapevano la verità – racconta – Mi spiace solo non essere riuscito a salutarli tutti. Molti di loro erano in permesso e non erano ancora rientrati in quel momento». Poi l’uomo ricorda il giorno del rilascio, il 25 novembre scorso. Beniamino torna nel penitenziario dopo aver lavorato, come tutte le mattine, dietro la macchina del caffè in un locale al centro di Cagliari. Gli si avvicina un agente della polizia penitenziaria che ha in mano un foglio e gli dice: «Beniamino perdi ancora tempo? Devi uscire». «Non potevo crederci e gli ho detto di non prendersi gioco di me. Ora so che avevo torto e che lui, invece, aveva ragione». «Un’ultima cosa Beniamino: che direbbe a Uda trovandoselo di fronte?», gli chiede la giornalista Ilaria Sacchettoni. «Gli chiederei perché proprio io. “Perché a me, cosa ti avevo fatto?” domanderei. Me lo sono chiesto in tutti questi anni. Non ho mai fatto male a una mosca. Ma forse ero l’uomo semplice da incastrare…».


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