Colpo di scena nel processo su Beniamino Zuncheddu, in carcere da 32 anni. Il testimone chiave crolla: «Ecco cosa è successo…»

La revisione del processo è in corso a Roma. Il teste chiave che lo accusa di triplice omicidio potrebbe aver ricevuto delle pressioni

Trentadue anni in carcere senza un motivo: è questa l’atroce sorte che la difesa di Beniamino Zuncheddu sostiene sia toccata al suo assistito. Tutto inizia nel 1991, quando in un ovile Cuile is Coccus (sulle montagne tra Sinnai e Burcei, in provincia di Cagliari) avviene un triplice omicidio. Muoiono assassinati Gesuino Fadda, proprietario dell’allevamento, il figlio Giuseppe e il pastore Ignazio Pusceddu. I morti, però, sarebbero dovuti essere in quattro. Se non fosse che uno di loro si salva: Luigi Pinna, marito di uno delle figlie di Fadda. In un primo momento, afferma di non essere in grado di identificare il volto dell’assassino che, sostiene, sarebbe stato coperto. Ma dopo qualche settimana la sua versione cambia: sostiene di aver riconosciuto Zuncheddu in una foto. E quest’ultimo, all’epoca pastore di Burcei (sempre nel Cagliaritano), viene arrestato. A giugno 1992, arriva la condanna definitiva: ergastolo. Ma in tutti questi anni Zuncheddu ha continuato a battersi per dimostrare la sua innocenza. La tesi della difesa, portata avanti oggi nella revisione del processo in corso a Roma, è che la testimonianza determinante sia arrivata dopo presunte pressioni da parte di uno degli agenti che indagava sul triplice omicidio. Oggi, davanti alla Corte d’Appello, Pinna ha confermato: «La verità è che mi è stata mostrata la foto prima del riconoscimento». Che sostanzialmente sarebbe stato dunque “pilotato” dall’indicazione del poliziotto. «Pensavo di fare una cosa giusta, così mi era stato detto», ha aggiunto Pinna. Una confessione arrivata grazie all’intermediazione di un interprete, che ha tradotto in lingua sarda al teste. Quest’ultimo, rispondendo alle domande del pg, ha inoltre fatto chiarezza su un altro dettaglio fondamentale della vicenda. Affermando che l’assassino indossava una calza sul volto che rendeva irriconoscibili le sue fattezze.


(foto Beniamino Zuncheddu ANSA/CLAUDIO PERI)


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