Gli affari d’oro dell’istituto di Tony Blair: 140 milioni di ricavi annui e 40 governi che chiedono consulenze

In un’intervista al Financial Times, l’ex primo ministro britannico illustra crescita e approccio della sua creatura

Circa 140 milioni di dollari in ricavi annui e 40 governi con cui collabora. Sono questi i numeri dell’istituto di Tony Blair, ovvero la no-profit con la quale l’ex primo ministro britannico offre consulenza politica a numerosi governi e partiti del mondo per ricostruire una «politica moderata che risponda ai populismi». Blair, in un’intervista rilasciata al Financial Times dal suo ufficio di Londra, racconta di aver ricevuto numerose offerte di acquisto per l’Institute for Global Change, tra i cui esperti figura anche l’ex premier finlandese Sanna Marin, ma che non ha intenzione di vendere, convinto che la sua creatura fondata nel dicembre 2016 continuerà a crescere. Al momento, vi lavorano quasi mille persone, e Blair prevede che la soglia verrà superata nel 2024.


Dove opera l’istituto di Tony Blair

«Siamo presenti in più di 30 paesi adesso. Abbiamo aggiunto altri nove paesi l’anno scorso e forse ne aggiungeremo altri nove quest’anno. Ora abbiamo una lista d’attesa di governi che vogliono aderire al programma», ha spiegato l’ex leader del partito laburista. Blair, presidente esecutivo, è spesso il primo punto di contatto dei leader in cerca di consigli. Il politico, quindi, invia delle squadre a lavorare nel Paese interessato, ma queste spesso rimangono anche quando si verifica un cambio di governo. L’istituto opera in Africa, Medio Oriente e Sud-Est asiatico e sta sviluppando il proprio business nelle Americhe. Blair fa riferimento anche a progetti negli Emirati Arabi Uniti e nell’Europa dell’Est, mentre tra i 16 Paesi africani in cui lavora figurano Kenya, Senegal, Ghana, Ruanda e Malawi.


Le critiche per il lavoro con l’Arabia Saudita e le sfide della tecnologia

Tra le maggiori critiche rivolte al politico c’è appunto quella di aver scelto di lavorare nell’Arabia Saudita di Bin Salman. «Qualche anno fa ci venne contestato il fatto di lavorare in Arabia Saudita. Ma non ho assolutamente dubbi – ha detto Blair – che i cambiamenti che stanno apportando lì siano di enorme importanza sociale ed economica». Il politico, oggi 70enne, ha confermato che in alcuni casi ha rinunciato a dei clienti. «Abbiamo detto di no e ci siamo ritirati dai posti. Non dico dove, ma abbiamo lasciato dei posti quando abbiamo deciso che non andavano nella direzione giusta». Infine, ha spiegato il suo approccio: «Una delle prime cose che dico a qualsiasi primo ministro o presidente è: “Hai un piano?”. Un paese ha bisogno di una direzione». Un secondo filone comune, ha aggiunto, è l’importanza dell’implementazione della tecnologia. «Questa è forse la sfida per il governo oggi: come sfruttare la rivoluzione tecnologica».

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