Dal sogno di diventare medico al successo su TikTok, parla Martina Socrate: «Non ho passato il test due volte, ma ora faccio un lavoro che amo»

La 25enne oggi approda su RaiPlay con SkillZ. A Open racconta la sua visione sulla professione di content creator e sulle difficoltà della Gen Z nel mondo del lavoro

Appassionata di recitazione, studia mediazione culturale, fa la tiktoker a tempo pieno. Classe 1998, Martina Socrate conta una community con oltre un milione e mezzo di seguaci sui social. Sbarcata su TikTok nel 2019 cercando di trasferire in una nuova forma la sua passione per il teatro, nel tempo ha esteso i suoi contenuti su curiosità, viaggi e tendenze. E oggi 10 gennaio approda su nuovi schermi: quelli dello streaming, ma in una veste nuova. Condurrà SkillZ, un programma Rai Contenuti Digitali e Transmediali – in collaborazione con il Fondo per la Repubblica Digitale – in esclusiva su RaiPlay. Un viaggio nei luoghi d’eccellenza italiana che vivono già nel futuro al fine di guidare i più giovani a capire quali nuove competenze siano utili per entrare nei mondi dello spettacolo, dello sport, della tecnologia e dell’arte. Open ha incontrato Martina per esplorare questi aspetti, anche in virtù della sua professione di content creator, e fornire qualche consiglio ai più giovani, spesso spaesati quando si affacciano al mondo del lavoro.


Prima di iniziare, raccontaci di te: chi è Martina fuori dai social?


«Sai, è una domanda che non mi fanno mai. Sono una ragazza di 25 anni e studio mediazione culturale, anche se in questo periodo non sto riuscendo a dare esami – me ne mancano 5 per finire – perché mi sto concentrando sul mio lavoro di content creator. Dentro e fuori dai social sono molto simile. O almeno così mi dicono. Non voglio essere un personaggio, cerco di essere me stessa in entrambi gli spazi. E quando questo viene percepito, significa che ho fatto bene il mio lavoro».

Come hai iniziato la tua presenza sui social e come si è evoluta nel tempo fino a farla diventare una professione?

«Nel 2016 ho iniziato a pubblicare video su Musically, poi nel 2019 mi sono spostata su TikTok. Dopo un po’ di tempo mi ha contattata un’agenzia dicendomi che vedevano del potenziale in me. All’epoca ignoravo l’idea che potesse diventare il mio lavoro, puntavo su altro, mentre ora lo è a tempo pieno e non lo cambierei mai».

E oggi sei arrivata a condurre un programma per la Rai, SkillZ. Di cosa si tratta?

«Il nome richiama sia il concetto di competenze che il riferimento alla generazione Z. Ma secondo me è in grado di parlare anche agli adulti. L’obiettivo è fornire dei consigli a chi si sente un po’ spaesato nel mondo del lavoro. Sono dieci episodi. In ognuno incontriamo una realtà diversa per approfondire una skill nello specifico».

Dopo questo programma, ma anche in base alla tua esperienza personale, quale credi sia una competenza essenziale da acquisire?

«Senza dubbio, la creatività. Se c’è una cosa che le macchine non potranno sostituire, secondo me è questa».

E, più nello specifico, per il tuo lavoro di content creator?

«L’originalità. Chiunque oggi può fare contenuti. Gli utenti scrollano migliaia di video tutti i giorni e tu devi trovare un motivo affinché si fermino a guardare proprio il tuo video. Tutto è già stato fatto, ma la sfida è trovare una chiave nuova in quello che proponi».

Sempre più persone fanno il tuo lavoro: ormai è un mercato a tutti gli effetti. Ma è regolamentato al pari dei mestieri più tradizionali?

«Dal punto di vista economico, la nostra professione è regolamentata, ma c’è ancora molto da fare. Basta pensare che non abbiamo un codice Ateco. Quando ti rivolgi a un commercialista, infatti, non sanno mai come inquadrarti. Navighi in una zona grigia finché non trovi un bravo professionista. Io ho una partita Iva, pago le tasse, siamo attentissimi da questo punto di vista. Ma non ti nego che vorrei che alcuni aspetti fossero migliorati perché il nostro è un lavoro a tutti gli effetti».

Tra i tuoi coetanei la sensazione con cui ci si affaccia al mondo del lavoro è quella dell’incertezza e, talvolta, dello smarrimento. Cosa manca?

«L’educazione emotiva. Nel nostro Paese è quasi assente e credo che tutto debba partire dalla scuola. Durante tutta l’età evolutiva bisognerebbe crescere bambini e ragazzi anche sul fronte emotivo. Questo secondo me fa sì che alla fine della scuola ci si possa sentire un po’ meno disorientati e con un’idea più chiara delle proprie scelte. Poi comunque c’è sempre tempo per cambiare. Io volevo fare il medico, ho tentato due volte il test e non ce l’ho fatta. Ora eccomi qui con questo lavoro, che amo e non vorrei mai cambiare».

E il sogno del medico è svanito così facilmente?

«Assolutamente no. Oggi lo racconto con questa leggerezza, ma ero disperata, mi dicevo “non combinerò mai niente nella vita”. Poi, mesi dopo, sono stata contattata da un’agenzia. Con questo voglio rassicurare i miei coetanei: ciò che è vostro arriverà a voi. Ad alcuni prima, ad altri dopo, ma dopo arriva».

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