Antonio Di Pietro sta con i trattori: «È tutta colpa dell’Unione Europea»

L’ex ministro: la terra non dà più da vivere a nessuno

L’ex pubblico ministero e ministro Antonio Di Pietro sta con i trattori. Ovvero con gli agricoltori che in tutta l’Unione Europea e in Italia manifestano in strada contro la politica agricola dell’Unione Europea. A 74 anni Di Pietro si gode il suo buon ritiro a Montenero di Bisaccia in Molise: «Lavoro la terra che mi ha lasciato mio padre: olio, vino, grano, orzo. Per me, mia sorella, i miei figli e chi mi vuol bene». Ma il problema, dice, è che non dà più da vivere a nessuno. Per questo, dice, la protesta dei trattori è sacrosanta e siamo ancora all’inizio. «La realtà è fatta di famiglie che devono campare con 15-20 ettari, ed è impossibile», spiega oggi in un’intervista a La Stampa. Lui per fortuna non deve camparci perché ha «una buona pensione e 20 ettari». Ma gli altri, dice ad Andrea Rossi, sono disperati.


I problemi

I problemi, secondo l’ex giudice di Mani Pulite, sono un’infinità: «I macchinari sono inavvicinabili. La manodopera non si trova: fatico a farmi potare gli ulivi e le viti. I cinghiali distruggono tutto. Poi, nel Centro-Sud non c’è irrigazione: guardiamo il cielo sperando che piova. Ho una vigna di due ettari, potrei fare 400 quintali d’uva l’anno: sa com’è andata lo scorso autunno? Nemmeno un grappolo. Sono andato a comprare il vino alla cantina. Ma chi deve vivere di quello?». Di Pietro dice che il problema non sono le multinazionali, che fanno i loro interessi. E nemmeno del governo Meloni, che non può fare più di tanto. Aggiunge che se fosse ministro si sentirebbe «impotente. A me produrre un litro d’olio costa 12 euro. In giro lo trovo in vendita a 2 euro e 50. Solo le latte costano un euro e 50 l’una. Chi può reggere con questi squilibri?».


Le colpe

La colpa, secondo Di Pietro, è semplicemente dell’Unione Europea: «Impone regole uguali per tutti, che siano grandi o piccole aziende, sulle colline molisane o nella sterminata pianura tedesca. Come se tutti potessero produrre le stesse cose, nello stesso modo e al medesimo costo. E poi non ti lascia lavorare. Siamo costretti a ruotare le coltivazioni. Ma chi ha 15 ettari cosa ruota? Chi ha i cinghiali che devastano tutto?». E ancora, la burocrazia, le mille carte da compilare. Oggi o i contadini stanno dentro una grande impresa o sono fritti: «Non si può seminare il grano raccolto, bisogna acquistare i semi che costano tre volte tanto. Uno ci prova, poi al porto di Brindisi, o Genova, arriva un’enorme nave piena di grano e ti abbatte ulteriormente il prezzo. L’Europa dovrebbe tutelare la specificità dei suoi territori. Invece con i suoi vincoli di fatto favorisce le grandi imprese: coltivazioni verticali e allevamenti intensivi, animali che muoiono senza aver mai fatto un passo».

Il ritorno

E quando La Stampa gli chiede se non ha voglia di tornare, in campo, la replica è: «Lo sto già facendo. A modo mio: idealmente e mettendomi a disposizione. Da qui passano in tanti: chi ha un problema con l’Agenzia delle entrate, con le banche, chi ha bisogno di un consiglio. La porta è sempre aperta».

Leggi anche: