Francia, l’aborto entra in Costituzione: «Siamo felici, ma a metà» – L’intervista alla scrittrice e femminista Pauline Harmange

«L’interruzione di gravidanza non è un argomento politicamente neutro, ma rimarrà una questione politica finché ci saranno persone che continueranno a vietarlo», dice a Open l’autrice francese di “Aborto: il personale è politico”

Una decisione storica. La Francia è il primo Paese a introdurre esplicitamente nella propria Costituzione «la libertà garantita» alla donna di abortire. Deputati e senatori, riunitisi oggi in seduta comune a Versailles, hanno approvato la modifica della Carta fondamentale proposta dal governo di Emmanuel Macron, all’indomani dell’annullamento della sentenza Roe v. Wade negli Stati Uniti. 780 i voti favorevoli, 72 i contrari: al di sopra, quindi, dei 512 necessari. All’art.34 verrà aggiunta la frase: «La liberté garantie à la femme d’avoir recours à une interruption volontaire de grossesse». Tradotto: la legge determina le condizioni in cui si esercita «la libertà garantita alla donna di far ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza». L’esito era scontato, le due Camere si erano già espresse a favore poche settimane fa. Era necessario, però, il voto dei tre quinti dei membri del parlamento per l’approvazione definitiva.


«È confortante vedere che, nonostante il clima politico preoccupante, alcuni dei nostri politici non hanno dimenticato il monito di Simone de Beauvoir («Basterà una crisi politica, economica, religiosa, perché i diritti delle donne, i nostri diritti, siano messi in discussione. Dovete restare vigili durante il corso della vostra vita») e hanno riconosciuto i segnali di cui parlava», sottolinea a Open Pauline Harmange, femminista e scrittrice francese, autrice del saggio Aborto: il personale è politico (traduzione italiana di Mimemis Edizioni) e del caso letterario Odio gli uomini. L’interruzione di gravidanza in Francia è garantita dal 1975. La legge Simone Veil, dal nome dell’allora ministra della Salute, consente alle donne di abortire fino alla fine della 14esima settimana o per motivi medici durante tutta la gravidanza. Ma, da oggi, in Francia l’aborto – molto spesso alla mercé di coloro che decidono se riconoscerlo o meno – avrà una tutela in più. «Mon corps, mon choix».


In un momento in cui il diritto all’aborto viene messo in discussione in molte parti del mondo cosa pensi della decisione del tuo Paese?

«È un po’ deprimente, ma allo stesso tempo quasi confortante. Da un lato, si tratta di una reazione all’annullamento della Roe v. Wade negli Stati Uniti, che ha portato a sua volta alla riduzione del diritto all’aborto in tutto il mondo. Sono felice per i francesi, così come continuo a piangere per tutte le altre persone a cui viene negato questo diritto. Ma è confortante vedere che, nonostante il clima politico preoccupante, alcuni dei nostri politici non hanno dimenticato il monito di Simone de Beauvoir («Basterà una crisi politica, economica, religiosa, perché i diritti delle donne, i nostri diritti, siano messi in discussione. Dovete restare vigili durante il corso della vostra vita») e hanno riconosciuto i segnali di cui parlava».

Il disegno di legge è stato approvato dal Senato solo dopo la sostituzione della parola «diritto» al termine «libertà garantita» della donna. È una vittoria a metà?

«Come molte femministe in Francia, mi rammarico del fatto che il testo faccia riferimento a una «libertà» piuttosto che a «un diritto» o, meglio ancora, a una «garanzia». Il suo significato può, così, variare a seconda delle inclinazioni politiche: interrompi volontariamente la gravidanza e lo Stato se ne lava le mani. Questo riporta l’aborto su un piano individuale e toglie allo Stato l’obbligo di garantire condizioni adeguate di accesso all’aborto, come ad esempio un gran numero di centri specialistici ben finanziati dove le donne vengono trattate in modo umano. Quindi siamo felici, ma solo a metà».

Nel tuo libro Aborto: il personale è politico scrivi che «l’aborto si nasconde nelle storie che non raccontiamo», credi che la decisione possa spingere le donne a parlare, a raccontare la loro esperienza?

«Durante l’attesa per i risultati del voto al Senato, nei media femministi e sui social network molte persone hanno iniziato a sfogarsi su questo tema. Anche di recente si è parlato molto di aborto. Dovremmo continuare a farlo perché sarà sempre più necessario, soprattutto finché non si verificheranno condizioni adeguate per l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza e finché ci sarà una lobby antiabortista che non rinuncia a parlarne e a dire, tra le altre cose, tutto ciò che vuole». 

Riprendo sempre una frase del tuo libro: «L’aborto è una questione politica», cosa significa? 

«L’ho scritto perché tendiamo a pensare che l’aborto sia un’esperienza personale, una questione privata. Come purtroppo vediamo c’è una corrente ideologica che vuole abolire il diritto di abortire, e ci sono ancora Paesi dove è vietato per legge, dove è molto difficile accedervi: non è un argomento politicamente neutro. Si ha tutto il diritto di tenere per sé l’esperienza dell’aborto, ma quando si ha a cuore il diritto di una donna a decidere del proprio corpo è importante parlarne. In modo che l’argomento non venga trattato solo da chi è contrario. Ed ecco che allora l’aborto rimarrà una questione politica finché ci saranno sempre più persone che continueranno a vietarlo».

Foto copertina: © Florence Rivières | La scrittrice e femminista Pauline Harmange

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