Niente da fare: la battaglia della Lega sul terzo mandato per i presidenti di regione finisce qui. Con 112 voti contrari, 26 favorevoli e 3 astenuti, il Senato ha infatti bocciato l’emendamento che chiedeva di innalzare da due a tre il limite dei mandati. La proposta era già stata bocciata in commissione Affari costituzionali del Senato, dopo aver ricevuto anche il parere contrario del governo. Il partito di Matteo Salvini aveva anche presentato un ulteriore emendamento, con cui aveva proposto di abolire il ballottaggio per l’elezione a sindaco nei Comuni con più di 15mila abitanti, se si raggiunge il quorum del 40% dei voti. L’idea aveva subito scatenato l’ira delle opposizioni, e non solo. Fino al punto che il partito ha deciso di ritirarlo.
La trasformazione in odg
«Accogliamo l’invito alla trasformazione dell’emendamento in ordine del giorno – ha annunciato in aula il capogruppo Massimiliano Romeo -, su questo tema possiamo comprendere che a due mesi dal voto sarebbe non corretto, quindi ci può stare. Per noi era importante porre la questione». L’ordine del giorno è stato approvato dall’Aula del Senato con 81 sì, un voto contrario e nessun astenuto. «Questa volta è un ordine del giorno, la prossima volta – e lo diciamo al governo – l’emendamento lo terremo fino alla fine e lo metteremo ai voti», ha annunciato però il capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo.
La polemica
Una risposta volta a placare gli animi surriscaldati. La segretaria del Pd Elly Schlein aveva attaccato: «Il blitz sulla cancellazione dei ballottaggi a tre mesi dal voto è uno sfregio alle più basilari regole democratiche». Aveva fatto eco il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia, che ha definito l’emendamento «una aberrazione, una provocazione, un colpo di mano inaccettabile contro leggi che hanno dimostrato di funzionare bene». Poco dopo, anche il governo avrebbe manifestato il proprio fastidio per l’emendamento, invitando i senatori leghisti al ritiro. E così il relatore del Dl elezioni, Alberto Balboni di Fratelli d’Italia, ha dichiarato in Aula: «Sono d’accordo nel merito, è un sistema che ha la sua dignità ma non vedo l’opportunità di inserirlo in questo momento. Cambia le regole in vigore, avrebbe avuto bisogno di maggior confronto. Un tema così importante andava affrontato con ben altro metodo».
La modifica sul ballottaggio
Nello specifico, come riporta il Corriere, il testo della proposta prevede che venga «proclamato eletto sindaco il candidato che ottiene il maggior numero di voti validi, a condizione che abbia conseguito almeno il 40 per cento dei voti validi. Qualora due candidati abbiano entrambi conseguito un risultato pari o superiore al 40 per cento dei voti validi, è proclamato eletto sindaco il candidato che abbia conseguito il maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è proclamato eletto sindaco il candidato collegato con la lista o con il gruppo di liste per l’elezione del consiglio comunale che ha conseguito la maggiore cifra elettorale complessiva. A parità di cifra elettorale, è proclamato eletto sindaco il candidato più anziano di età».
Il commento di FdI
Per quanto riguarda la mossa leghista sul terzo mandato, l’amarezza era trapelata anche dalla maggioranza, che aveva sottolineato come «spiaccia» creare «spaccature su temi non in agenda»: «Noi speravamo che l’emendamento sul terzo mandato non finisse in Aula. Cercare o creare spaccature su temi che non sono nell’agenda nel centrodestra spiace. Ma non è niente di così grave», ha dichiarato a LaPresse il senatore di Fratelli d’Italia Raffaele Speranzon. «Un minuto dopo, chiusa la votazione, torneremo ad occuparci delle cose che interessano agli italiani, le riforme piuttosto che il destino di qualche governatore». Il riferimento sembra essere a Luca Zaia, alla guida del Veneto che adesso non potrà più ambire alla riconferma. Oltre a FdI, anche Forza Italia era contraria al terzo mandato, come ricorda Repubblica. E insieme a loro anche tutti gli altri partiti di opposizione, fatta eccezione per Italia Viva.
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