Confermata la linea dura contro Mosca. Von der Leyen: «Putin inizia a parlare solo ora di "guerra", ha preso in giro il suo popolo per due anni»
«La Russia deve pagare per quello che sta facendo». A parlare è la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al termine del vertice che ieri e oggi ha riunito a Bruxelles i 27 capi di Stato e di governo di Paesi Ue. Una due giorni dedicata soprattutto a discutere di politica estera, a partire ovviamente dalla situazione in Medio Oriente e dalla guerra in Ucraina. Su quest’ultima, in particolare, i leader Ue hanno raggiunto un accordo sull’utilizzo degli extraprofitti derivati dagli asset russi sanzionati e immobilizzati. Un meccanismo che secondo Michel potrebbe essere avviato rapidamente. «Non ci facciamo intimidire dalla Russia. I proventi degli asset russi andranno all’Ucraina in quanto vittima dell’aggressione di Mosca», ha rimarcato Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, al termine del summit a Bruxelles.
Nuove sanzioni per la morte di Navalny
Anche questa volta, insomma, è il conflitto tra Russia e Ucraina il tema più discusso del Consiglio europeo. Proprio mentre i leader Ue si riunivano a Bruxelles, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che Mosca «è in guerra perché la partecipazione occidentale trasforma un’operazione militare speciale in una guerra». A rispondergli è Ursula von der Leyen, che nella conferenza stampa di oggi ribatte: «La Russia è in guerra con l’Ucraina dal 2022 e questo commento di oggi dimostra che Mosca ha tradito la popolazione russa, nascondendo per due anni i fatti e negando che ci fosse una guerra in corso». E sempre a proposito di Russia, oggi il Consiglio europeo ha raggiunto un accordo per imporre nuove sanzioni e misure restrittive nei confronti di 33 persone e due entità connesse alla morte improvvisa dell’oppositore Alexei Navalny.
L’unione dei mercati dei capitali
Tra gli altri temi sul tavolo del Consiglio europeo c’è poi la questione relativa all’Unione dei mercati dei capitali, che nelle intenzioni di Bruxelles dovrebbe rendere l’economia europea più resiliente e competitiva e accelerare gli investimenti per la transizione verde e digitale. Su questo fronte, però, la discussione nel merito è rimandata al prossimo vertice. «Discuteremo la nostra strategia per l’integrazione dei mercati dei capitali in occasione del nostro consiglio europeo speciale di aprile», ha annunciato Michel su X al termine dell’Eurosummit.
Foto di copertina: EPA/Olivier Matthys | I leader europei in posa nel secondo giorno del Consiglio europeo a Bruxelles (22 marzo 2024)
Si può ancora mettere al centro del dibattito sul conflitto israelo-palestinese la ricerca di soluzioni, piuttosto che l’odio, gli anatemi e i boicottaggi? Si può ancora tendere un filo che tenga insieme i diritti e le aspirazioni tanto degli israeliani quanto dei palestinesi, piuttosto che gettare benzina sul fuoco del conflitto più intricato del pianeta? È in questa direzione che in questi giorni di alta tensione nelle piazze e nelle università del Paese si muove un pezzo sempre più rilevante del mondo della sinistra italiana – quella “istituzionale” dei partiti e quella della società civile, compresa la sua componente ebraica. Lo testimoniano due appelli che stanno raccogliendo in questi giorni un numero crescente di firme, e una mobilitazione pubblica con affollati eventi nelle principali città italiane. A rialzare la testa per provare a riorientare l’agenda e il discorso pubblico lontano dal «fuoco incrociato» degli odi contrapposti è in particolare Sinistra per Israele. L’associazione fondata 55 anni fa all’indomani della Guerra dei Sei Giorni si diede e torna oggi a rivendicare quel nome volutamente «scandaloso», come ricordato da uno dei suoi animatori, Luciano Belli Paci, in una delle due serate organizzate nei giorni scorsi – a Roma prima, a Milano poi – per rilanciare la sua azione. Direzione di marcia: sostenere la necessità di un cessate il fuoco a Gaza, condannare chiaramente le azioni e la (non-)visione di Benjamin Netanyahu, ma anche ricordare la matrice, quella sì genocida, della strage del 7 ottobre e dell’agenda di Hamas e sfatare le troppe aree grigie d’ignoranza su Israele, la sua storia e il mondo ebraico su cui fiorisce il nuovo antisemitismo.
Conflitto tra due ragioni
È in questo senso che va il manifesto lanciato lo scorso 6 marzo («Dal 7 ottobre alla pace» dal gruppo oggi guidato dall’ex deputato Pd ed ex presidente della Comunità ebraica di Milano Emanuele Fiano. Iniziativa pubblica che nell’arco di due settimane ha già raccolto oltre 1.300 firme, da quelle iniziali di politici ed intellettuali del mondo della sinistra (e non solo) a quelle di tanti cittadini comuni. Il conflitto in corso a Gaza iniziato con gli eccidi di Hamas del 7 ottobre rappresenta «una spirale che va immediatamente interrotta attraverso un accordo di cessate il fuoco che consenta la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani e l’inoltro alla popolazione civile di Gaza, in condizioni di sicurezza, degli aiuti umanitari», è il primo irrinunciabile obiettivo messo a fuoco. Ma una volta, si spera quanto prima, raggiunto questo, la soluzione di medio e lungo periodo, rivendica l’appello, deve coincidere con «una risposta razionale, progressista, tesa ad affermare il principio di una pace possibile, indispensabile per tutti i popoli della regione». Poiché, ricorda Sinistra per Israele, «su quella terra vivono due diritti ugualmente legittimi, l’obiettivo di due popoli due Stati, il mutuo riconoscimento di due ragioni, è ancora e sempre il nostro orizzonte e la soluzione da perseguire». Ma come fare a trasformare quell’obiettivo da utopia in progetto concreto? La strada sarà lunga e faticosa. Col rischio di doverci impiegare altri decenni, ha ammesso un’altra delle animatrici di Sinistra per Israele da dentro il Pd, Lia Quartapelle. Ma proprio per questo necessaria. il primo ostacolo da superare è chiaro, sostiene l’appello: serve che cambino gli attori al timone su entrambi i fronti. Una nuova leadership israeliana «che creda nella convivenza di due Stati per i due Popoli» e rompa con l’occupazione della Cisgiordania e l’espansione degli insediamenti che insieme al «pervicace rifiuto della nascita dello Stato palestinese sono incompatibili con soluzioni di pace». A specchio, dall’altra parte, è indispensabile che «una rinnovata leadership palestinese dell’ANP — unico interlocutore per la pace oggi internazionalmente riconosciuto — superi le ambiguità che hanno concorso al fallimento degli accordi di Oslo». Terzo ed ultimo ingrediente indispensabile, ovviamente, «un atteggiamento cooperativo del mondo arabo, sulla scorta degli Accordi di Abramo, e un impegno attivo dell’intera comunità internazionale, superando troppe inerzie».
Falsi miti su Israele e Hamas
Ma accanto ai passi concreti e urgenti che hanno bisogno di compiere israeliani e palestinesi, e a quelli della diplomazia internazionale, anche la società italiana ed europea deve scrollarsi di dosso con urgenza ignoranze, pregiudizi e falsi miti che rischiano, altrimenti, di riprodurre nella stessa Europa divisioni manichee quando non azioni violente. L’appello chiede quindi – a partiti e cittadini che s’iscrivono nell’arco di sinistra in primis – di individuare senza ambiguità Hamas come organizzazione terroristica che «rifiuta ogni forma di compromesso e ogni prospettiva di pace, perseguendo la cancellazione dello Stato di Israele e predicando l’uccisione degli ebrei». Pare scontato, non lo è affatto. Al contempo, così come Hamas «non rappresenta tutto il popolo palestinese», neppure il governo di Netanyahu rappresenta tutto Israele, come un anno di manifestazioni di piazza settimanali quasi senza sosta testimoniano, né tanto meno il mondo ebraico. E chi milita a sinistra per primo dovrebbe saperlo. «Israele è fin dalla sua nascita una democrazia fondata su valori liberali e progressisti, in una regione fortemente segnata da regimi autocratici. Anche le continue e straordinarie mobilitazioni della società israeliana testimoniano una robusta e radicata cultura democratica e la possibilità concreta di restituire a Israele una politica aperta a un vero processo di pace», ricorda l’appello. Ragione per la quale «il più drastico giudizio sulle politiche di Netanyahu non può in alcun modo tradursi nella negazione del diritto all’esistenza dello Stato di Israele, né tantomeno nella colpevolizzazione degli ebrei che vivono in ogni parte del mondo».
La sinistra e gli appelli al boicottaggio
Impossibile negare che queste derive culturali incrocino – più o meno in malafede – le mobilitazioni di studenti e attivisti, ma anche docenti e intellettuali, che negli ultimi giorni hanno messo sotto enorme pressione le università italiane. Col rischio di far collassare la giusta solidarietà ai civii palestinesi intrappolati dentro la guerra verso approdi di intolleranza, quando non di esplicito antisemitismo. A dirlo con chiarezza dal palco di Milano, l’ex presidente dell’Anpi locale Roberto Cenati, che ha lasciato l’incarico poche settimane fa in polemica con lo sdoganamento del termino genocidio contro Israele: «L’antisemitismo sta raggiungendo livelli mai visti dal dopoguerra ad oggi, e intolleranza si sta facendo largo pure in quei luoghi di cultura che sono gli atenei. Oggi quella gloriosa associazione che è l’Anpi ha il compito di tenere viva la memoria e le lezioni della storia, combattendo le derive nazionaliste e anche quella antisemita». Mentre l’ex sindaco di Torino e padre nobile del Pd Piero Fassino è stato ancora più esplicito: «In Europa non si capisce il vissuto del popolo ebraico: per gli ebrei l’Europa è il luogo della vita e della fioritura, ma anche quello della morte, della Shoah. Per questo chi in Ue propone sanzioni o lancia boicottaggi contro Israele riporta subito alla mente degli ebrei gli echi spaventosi di quel passato. È ora di capirlo, e di cambiare strada. L’Europa si dedichi invece ad accompagnare co tutte le energie le due parti nel difficile percorso verso la pace». Lo stesso traguardo che individua negli stessi giorni un altro appello promosso da un pezzo di rilievo del mondo progressista ebraico, quello rappresentato dall’associazione europea JCall, che nel ricordare le tragiche responsabilità tanto di Hamas quanto della destra israeliana richiama a gran voce: «La salvezza di Israele passa per una composizione ragionevole della questione palestinese, cioè la soluzione a due Stati. Come spesso avviene nella storia, dalle tragedie più spaventose scaturiscono le soluzioni più audaci».