Il lader del M5s nega poi di non aver avvertito la segretaria dem che si sarebbe tirato indietro all'ultimo dalle primarie di Bari: «'ho sentita 20 minuti prima e ci sono stato 20 minuti al telefono»
Nessun passo indietro sul caso di Bari da parte di Giuseppe Conte, che a pochi giorni dalle primarie con il Pd aveva deciso di sfilarsi. La decisione del leader del M5s era arrivata dopo l’ultima inchiesta che ha travolto la politica pugliese, che aveva portato anche alle dimissioni dell’assessora regionale Anita Maurodinoia, già «lady preferenze» per la valanga di voti portati prima alle ultime Comunali a sostegno di Antonio Decaro e poi alle Regionali per Michele Emiliano. Ospite ad «Accordi e disaccordi» sul Nove, Conte difende la sua decisione spiegando che così come dovevano essere realizzate quelle primarie, avevano un risultato già deciso: «Il Pd vincerebbe sempre e comunque le primarie – ha detto l’ex premier – è senz’altro più attrezzato di noi per farle».
«L’ho chiamata 20 minuti prima»
Conte sostiene di aver chiesto ai dem baresi di cambiare regole dei primarie, imponendo per esempio una pre-registrazione dei votanti, così da conoscere l’identità di chi andava ai gazebo. Ma a detta sua, dal Pd ha incassato solo risposte negative. Conte nega poi di aver deciso di appoggiare l’avvocato Michele Laforgia per la corsa a sindaco di Bari senza dire nulla agli alleati. Anzi imponendo al Pd una sorta di ultimatum: «Io non ho detto a Elly Schlein sono “ultimativo” e “definitivo”. Io le ho detto pensaci un attimo e fammi sapere». Il tempo però pare non sia stato larghissimo, almeno stando a sentire Conte: «Non è vero che quando abbiamo annunciato non ho avvertito Schlein. L’ho sentita 20 minuti prima e ci sono stato 20 minuti al telefono».
Le condizioni di Conte a Schlein
Alla segretaria dem poi lancia una sorta di provocazione, dettando le sue condizioni nel caso in cui fosse ancora intenzionata a tenere in piedi l’alleanza con il M5s: «Se lei volesse mantener fede all’impegno preso a marzo del 2023 quando fu acclarata segretario del partito democratico al grido di ‘libererò il partito democratico da “capibastone” e “cacicchi” lei troverebbe in me il più grande partner».
Papa Francesco ha deciso a modo suo di risolvere la lunga disputa fra il suo vicario a Roma, cardinale Angelo De Donatis e il gesuita Daniele Libanori, vescovo ausiliare della capitale: li ha sollevati entrambi dall’incarico ricoperto promuovendoli ad altro incarico. Come spiegato dal bollettino della sala stampa vaticana di sabato 6 aprile, il cardinale De Donatis è stato nominato nuovo penitenziere maggiore del Vaticano in sostituzione del cardinale Mauro Piacenza dimissionato qualche mese in anticipo (compirà 80 anni a fine estate). Libanori è stato invece nominato assessore personale del Papa per la vita consacrata, incarico creato ad hoc perché non è mai esistito: dovrà occuparsi di tutti gli istituti di vita consacrata.
Con il suo vicario le incomprensioni iniziarono con la pandemia
Era da tempo che il Papa aveva fatto trapelare l’intenzione di sostituire De Donatis, che lui stesso aveva fortemente voluto e nominato con. parecchie resistenze in Curia. I rapporti fra i due però sono presto diventati difficili, e qualcosa si capì nel 2020 a inizio pandemia (il 13 marzo) quando il cardinale De Donatis ordinò di chiudere tutte le chiese di Roma per evitare contagi su richiesta del Papa, che però lo sconfessò facendogli revocare quello stesso decreto il giorno successivo. Era stato ipotizzato anche che lo stesso Libanori potesse prendere il posto di De Donatis, con cui c’erano stati aperti contrasti. Alla fine però il Papa ha deciso di allontanare (promoveatur ut amoveatur) entrambi dal vicariato di Roma.
Lo strano caso del gesuita Rupnik, prima difeso e poi mandato a processo dal Papa
La cosa curiosa è che il maggiore contrasto fra i due litiganti è stato sul caso dell’artista gesuita Marko Rupnik, accusato da alcune suore che vivevano con lui di molestie e violenza sessuale. Rupnik fu processato dalla congregazione della dottrina della Fede, e fra i suoi grandi accusatori c’era proprio il vicario gesuita di Roma, Libanori. Quando sembrava certa la scomunica di Rupnik (secondo l’accusa aveva assolto in confessione proprio una delle suore che avrebbe violentato), una “manina” lo salvò dalla scomunica. Si disse che era quella dello stesso Papa, suo grande amico da anni. Rupnik è comunque stato dimissionato dai gesuiti, e fra i suoi difensori c’era stato proprio il cardinale De Donatis, che forse pensava anche di fare cosa gradita al Papa criticando la linea dura dei gesuiti e del vescovo ausiliare Libanori. Solo che Papa Francesco poi a sorpresa ha cambiato linea su Rupnik decidendo anche dopo la denuncia di cinque suore venute allo scoperto per denunciarlo, che l’artista gesuita doveva andare a processo.
Roma forse resta sede vacante. Altrimenti in pole per il vicariato Lojudice e Zuppi
In questo momento dunque la sede vescovile di Roma è senza vicario del Papa, perché la rimozione non è avvenuta come solitamente avviene con la nomina del nuovo incaricato. È possibile che Francesco non voglia nessun suo vicario, decidendo di appoggiarsi a un vescovo ausiliario di sua fiducia (ne ha nominati tanti in questi anni, poi spedendone alcuni dei prescelti altrove). In Vaticano in ogni caso è già partito un toto-nomi per un nuovo vicario. I bookmakers oltre Tevere danno favorito l’ex vescovo ausiliare di Roma ed attuale vescovo di Siena, Paolo Lojudice, che Francesco ha fatto da poco cardinale. Puntate alte anche su un altro ex di Roma, come l’attuale vescovo di Bologna e presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi. Se invece non ci sarà alcun vicario il preferito del Papa fra gli attuali ausiliari è il siciliano Baldo Reina, che Francesco ha voluto come vicereggente di De Donatis e che qualche giorno fa ha nominato nuovo vescovo responsabile del Servizio diocesano per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili.
Fra le sacre mura c’è chi scommette che il prossimo obiettivo sia Delpini
Ha fatto comunque una certa impressione l’improvvisa accelerazione del Papa nella decapitazione della diocesi di Roma, che pure era parzialmente attesa. Nei sacri Palazzi non pochi sono sgomenti per i repentini cambiamenti di giudizio del Pontefice sui collaboratori che in un primo tempo lui stesso si era scelto. Ma c’è chi fa notare come Francesco perdoni molto a tutti, ma nulla alla dirigenza ecclesiastica che non gli obbedisca senza se e senza ma. Non sono pochi i vescovi e i cardinali su cui aveva puntato in un primo momento, poi fulminati anche solo per un discorso ritenuto non in linea con il Papa. E c’è chi scommette già sui prossimi obiettivi di Francesco. In testa alla lista delle scommesse dei porporati c’è il nome dell’attuale arcivescovo di Milano, Mario Delpini, che il Papa non ha mai voluto nominare cardinale e con cui proprio per questo c’erano state clamorose incomprensioni, come quando Delpini aveva ironizzato sulla porpora cardinalizia concessa al vescovo di Como, Oscar Cantoni. Ironia tutt’altro che apprezzata dal Papa, che se la sarebbe legata al dito…