Continua il periodo turbolento per il quotidiano la Repubblica e Gedi. Tra le vendite dei giornali locali ad altri gruppi industriali, le dimissioni di giornalisti che rimproverano al giornale la linea «troppo filo-israeliana» dei vertici, si inserisce anche la mozione di sfiducia presentata dal comitato di redazione e sottoposta al voto – segreto – dall’assemblea dei giornalisti. Il destinatario è Maurizio Molinari. Il direttore del quotidiano si sarebbe reso responsabile di una «censura del servizio di apertura di Affari&Finanza nel numero dell’8 aprile». Centomila copie al macero, si vocifera, per la presenza di un articolo sgradito che affrontava anche la questione del rapporto tra governo Meloni e Stellantis. Il pezzo a firma di Giovanni Pons, nell’ultima versione diffusa oggi dell’inserto economico di Repubblica, è stato sostituito da quello del vicedirettore Walter Galbiati. Cambiati il titolo, il catenaccio e un paragrafo, forse per non irritare la sensibilità dell’editore, John Elkann, che è anche presidente Stellantis?
Così, la prima versione del sommario passa da «I casi Stm, Tim e la fuga di ArcelorMitta dall’Ilva riaccendono le polemiche sul rapporto sbilanciato tra Italia e Francia» a «I casi Stm, Tim e la fuga di Arcelor dall’Ilva riaccendono le polemiche. Funzionano quando è il business a guidare». Sparisce il capoverso in cui si affronta il tema di come aggiustare quel «rapporto sbilanciato» che vedrebbe Parigi esercitare un ruolo di forza sulle aziende italiane. Ad ogni modo, qualora Molinari venisse sfiduciato, potrebbe comunque restare alla guida del quotidiano, poiché il voto dell’assemblea non è vincolante. Il Fatto ricorda, ad esempio, i casi di «Fabio Tamburini (2020) e Gianni Riotta (2011), entrambi al Sole 24 Ore», rimasti in carica «pur con la sfiducia della redazione».
Il testo della mozione del Cdr
L’assemblea delle giornaliste e dei giornalisti di Repubblica, denuncia la gravità dei fatti che hanno portato alla censura del servizio di apertura di Affari&Finanza nel numero dell’8 aprile. Il direttore ha la potestà di decidere che cosa venga pubblicato o meno sul giornale che dirige, ma non di intervenire a conclusione di un lavoro di ricerca, di verifica dei fatti e di confronto con le fonti da parte di un collega, soprattutto se concordato la redazione. In questo modo viene lesa l’autonomia di ogni singolo giornalista di Repubblica e costituisce un precedente che mette in discussione, per il futuro, il valore del nostro lavoro. Considera altrettanto grave che l’intervento abbia portato a bloccare la stampa del giornale, in particolare perché la direzione aveva già dato il via libera alla pubblicazione. È indice di una mancata organizzazione che espone ad arbitrarietà incontrollata il lavoro di tutti. Condanna lo spreco di tempo e di risorse per la ristampa di una parte di Affari&Finanza, in un momento in cui la redazione con l’ennesimo piano di prepensionamenti viene chiamata a nuovi sacrifici. Segnala come l’accaduto esponga Repubblica in modo negativo di fronte ai suoi interlocutori esterni, non ultimo il fatto che per alcune ore sono circolare in rete le due aperture di Affari&Finanza, prima e dopo l’intervento della direzione. Quanto avvenuto è l’ultimo episodio di una serie di errori clamorosi originati dalle scelte della direzione che hanno messo in cattiva luce il lavoro collettivo di Repubblica. Le giornaliste e i giornalisti di Repubblica ritirano dal giornale e dal sito le proprie firme per 24 ore, firme mortificate dall’intervento della direzione e a tutela della propria dignità professionale e indipendenza. Per tutti i motivi elencati l’assemblea delle giornaliste e dei giornalisti di Repubblica approva la mozione di sfiducia nei confronti del direttore Maurizio Molinari.
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