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Gli operai della centrale di Suviana avevano ferite sulla schiena: «Sono morti scappando»

centrale idroelettrica suviana strage operai morte fuga
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I sommozzatori: due di loro si coprivano il volto per proteggersi

Quando i sommozzatori dei vigili hanno trovato il corpo di Adriano Scandellari un braccio gli copriva il viso. Come se si volesse difendere da qualcosa. Nella stessa posizione era il corpo di Paolo Casiraghi. Uno di loro aveva ferite sulle schiena. L’ipotesi è che entrambi stessero tentando di scappare. Al nono piano interrato della centrale idroelettrica di Bargi sul lago di Suviana si trovava anche il cadavere di Alessandro D’Andrea. Anche lui era in fuga. Perché secondo alcuni dei sopravvissuti la squadra di 15 operatori aveva sentito uno «strano rumore» prima dell’esplosione. «Come quello di un motore che gira a vuoto», è la descrizione. Per questo molto probabilmente hanno tentato di fuggire. E i primi a morire sono stati quelli che erano più indietro nella fila o si sono attardati intorno ai macchinari.

Paolo Casiraghi, Adriano Scandellari, Alessandro D’Andrea

Casiraghi aveva quasi 59 anni e lavorava per la Abb. Scandellari era dirigente di Enel Green Power. Mentre D’Andrea era dipendente della Voith Hydro. Ora all’appello manca solo Vincenzo Garzillo, dipendente di Lab Engineering, napoletano e 68enne. I corpi dei tre erano a pochi metri l’uno dall’altro. «Ci siamo concentrati su quella zona dove ora riusciamo ad operare anche meglio per le mutate condizioni di visibilità», spiegano i sommozzatori. «Stiamo operando agli ultimi piani con un livello dell’acqua di circa nove metri, ma con una visibilità di un metro mentre prima era praticamente zero». Giuseppe Petrone, responsabile nazionale dei sommozzatori vigili del Fuoco, ha spiegato ieri che «lo scoppio si è verificato tra il piano -8 e -9 a seguire si è verificato il parziale crollo del solaio. Quando siamo arrivati, il piano -8 era libero dall’acqua. Ci muoviamo con molta cautela perché ci sono calcinacci in bilico e, prima di operare, occorre stabilizzare lo scenario. Dopo avere chiarificato le acque, abbiamo una visibilità intorno al metro che per noi è tanto e così siamo più efficienti».

Le operazioni

E ancora: «Ci muoviamo in una struttura che ha subito un dissesto: ci sono ferri di armatura e un importante sversamento di olii lubrificanti. Stiamo facendo una ricerca sistematica, che copre tutta l’area disponibile e finché non la ispezioniamo tutta non la riteniamo bonificata, quindi senza i corpi. Oggi ci sono al lavoro 18 unità di sommozzatori, le turnazioni prevedono sessioni di due ore, le profondità di immersione sono abbastanza limitate e questo ci permette di allungare le immersioni, ma oltre a un certo limite non possiamo andare. Dal pelo libero dell’acqua, parliamo di 7-9 metri di profondità. Si immerge un operatore in acqua e l’altro rimane a secco per intervenire in caso di necessità o urgenza, ad esempio se l’altro operatore rimane incastrato».

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