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Food for Profit, la regista Giulia Innocenzi: «Così le lobby della carne influenzano le politiche europee» – L’intervista

14 Aprile 2024 - 15:03 Antonio Di Noto
Nel suo primo documentario la giornalista mostra le contraddizioni della Politica agricola comune che finanzia gli allevamenti intensivi in Europa

Immagini crude quelle che si vedono in Food for Profit, primo documentario della giornalista Giulia Innocenzi che da anni si occupa del benessere degli animali negli allevamenti e dell’impatto di questi ultimi sull’ambiente. Nell’ora e mezza di film, girato insieme al regista e sceneggiatore Pablo D’Ambrosi, si intrecciano due filoni narrativi. Il primo è quello visto in molte produzioni simili. Innocenzi, con l’aiuto di alcuni collaboratori, visita di nascosto vari allevamenti intensivi dove gli animali non vivono. Soffrono, si ammalano, vengono imbottiti di antibiotici e trattati come oggetti asserviti al solo scopo di produrre più carne e latte possibile. Quelli che non vengono uccisi da infezioni, ernie, o allevatori che non sono intenzionati a «sprecare» mangime per bestie considerate poco produttive, sopravvivono, senza mai vedere la luce del sole, quel tanto che basta per ingrassare ed essere macellati.

Le lobby della carne

Nel secondo filone, la giornalista organizza un’audace infiltrazione nel mondo delle lobby della carne. Tra un bicchiere di spumante e una fetta di jamón ibérico, lobbisti ed europarlamentari non si fanno problemi a prendere in considerazione modifiche genetiche ai maiali per produrre suini a sei zampe e a spingere affinché la produzione di carne negli allevamenti intensivi continui la propria crescita a pieno regime. Il film è girato negli anni in cui è stata negoziata la Politica Agricola Comune per il quinquennio 2023-2027. L’insieme di regole con cui l’Unione Europea sceglie come spendere buona parte del proprio budget, dedicata al sostegno economico di allevamenti e agricoltura. Tra i suoi obiettivi c’è anche quello di rendere più sostenibile il settore che costituisce una delle attività umane più inquinanti e distruttive per il pianeta. Ma qualcosa sembra andare storto. Di Food for Profit e del suo successo nei cinema ha parlato Giulia Innocenzi in questa intervista per Open.

Food for Profit è stato accusato di essere antieuropeista, per aver rappresentato l’Ue come un organo che si muove – guidato dalle lobby – compatto contro il benessere animale e dei cittadini. Cosa rispondi a queste critiche? 

«In realtà Food for Profit è un film super europeista che cerca di pungolare l’Europa affinché faccia quello che si era prefissata. Nel 2019, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen aveva annunciato questo Green Deal pazzesco che avrebbe fatto sì che l’Europa sarebbe diventato il primo continente green al mondo. Quelle promesse sono state tutte – e ribadisco tutte – disattese, proprio perché le lobby si sono fatte sentire a partire dai trattori che hanno invaso le strade. Noi con Food for Profit invece chiediamo proprio che l’Europa sia il primo continente verde al mondo per davvero e per farlo potrebbe intanto eliminare immediatamente i sussidi pubblici agli allevamenti intensivi, e spostare quelle centinaia di miliardi di euro verso una vera transizione ecologica». 

Hai incontrato esempi positivi di chi cerca di cambiare Pac per il meglio in modo che i soldi vadano veramente a un miglioramento della vita degli animali e della sostenibilità degli allevamenti?

«La prima impressione positiva del Parlamento europeo è stata chi ci ha ospitato, cioè i tre eurodeputati che hanno permesso che Food for Profit venisse lanciato a livello comunitario proprio all’Europarlamento Questi tre eurodeputati sono Ignazio Corrao (Italia), Tilly Metz (Lussemburgo) e Francisco Guerreiro (Portogallo). Non avevano mai visto prima il film. Non lo abbiamo mandato nemmeno a loro in anticipo perché temevamo che circolasse prima e che la proiezione venisse bloccata. Ma questi eurodeputati hanno rispettato la nostra richiesta e credo che questa dire sia la massima espressione di libertà di espressione. Questi sì sono segnali di speranza: ci sono tante persone che si battono in Europa per avere un altro modello di agricoltura».

E quali sono state le reazioni una volta proiettato?

«La sala al Parlamento europeo era compatta nel apprezzare la denuncia. C’erano però due persone un po’ strane che facevano sempre filmati e fotografie quando venivano mostrati i lobbisti, soprattuto quando emergeva la figura di Paolo de Castro [euro deputato dem e vicepresidente alla Commissione Agricoltura, che nel documentario viene mostrato molto vicino alle lobby della carne, ndr]. Poco dopo abbiamo scoperto che quei due sono lobbisti della carne. Quel giorno all’Europarlamento era presente anche un inviato delle Iene, che ha chiesto loro un commento sul film e la loro risposta è stata che questo Food for Profit è un film “utile” perché secondo loro li aiuta a migliorare. Questo ovviamente davanti alle telecamere».

E a telecamere spente?

«Dietro alle telecamere invece quello che stanno facendo le aziende della carne è diffidarci. Al momento Food for Profit ha ricevuto quattro diffide in totale. Una da un’azienda che si vede nel film e che ha detto che non vuole assolutamente che il suo marchio sia associato al film; un’altra diffida è arrivata da un’azienda che non è nel film, che però chiede di non essere associata al film; la terza diffida molto pericolosa per il mio punto di vista è stata contro un cittadino che ha proiettato il film. Vuol dire che un’azienda da miliardi di fatturato all’anno ha diffidato un cittadino che proiettava Food for Profit. Il classico caso da Davide contro Golia. Un atto intimidatorio che ha avuto luogo venuto a Bertinoro in provincia di Forlì Cesena. Infine, la quarta diffida ci è arrivata, da pochissimo, da Paolo De Castro: l’eurodeputato che è stato filmato dal nostro lobbista. Chiede che tutte le scene dove appare siano rimosse, ma ovviamente non lo faremo».

In questi anni ti sei fatta un’idea su come andrebbe riformata la Politica agricola comune dell’Unione Europea? In che modo gli allevamenti riescono ad ottenere il denaro pur non rispettando i requisiti minimi di benessere animale?

«Oggi la politica agricola comune ha due grandi criticità. La prima è che aiuta di più chi ha di più. Un paradosso incentivato dalla politica agricola comune per il quale tante piccole aziende agricole nel corso degli anni hanno chiuso a causa della scarsa competitività economica rispetto alle grandi aziende agricole. Poi, la Pac aiuta anche gli allevamenti intensivi, stabilimenti enormi ed inquinanti dove gli animali vivono male. Dal mio punto di vista gli allevamenti intensivi non dovrebbero ricevere nessun tipo di finanziamento pubblico, ma purtroppo in Europa non esiste nessuna definizione legale di cosa sia un allevamento intensivo e questo ovviamente aiuta l’industria zootecnica, perché oggi il oltre il 90 per cento di carne, latte e formaggio prodotti in Europa viene dagli allevamenti intensivi. Qui i lobbisti speculano molto e come loro alcuni eurodeputati, perché sostengono che in Europa non ci siano allevamenti intensivi e che non ricevano fondi pubblici. Ma sono due grandi falsità».

Food for Profit è da settimane nella classifica dei film più visti al cinema in Italia. Non si può dire che non ci sia consapevolezza circa le condizioni degli allevamenti intensivi. Se questa consapevolezza già c’è, cosa manca per una transizione verso un modello di allevamento giusto e sostenibile?

«C’è un grandissimo bisogno di consapevolezza e volontà e l’opinione pubblica si sta spostando. Ma c’è un blocco da parte della politica enorme. Ci deve essere una spinta sempre più forte da parte dell’opinione pubblica dal basso per costringere i politici ad agire e le elezioni europee di giugno sono il primo grande appuntamento in cui si può fare qualcosa. Le associazioni per i diritti degli animali si sono messe insieme e hanno costituito una piattaforma che si chiama Vote for Animals dove ci sono dieci punti programmatici di cui molti riguardano gli allevamenti intensivi. Viene chiesto ai candidati alle elezioni europee di esprimersi su dieci punti. I cittadini possono poi vedere chi si è detto che a favore chi contrario. Si tratta di un modo di votare consapevolmente, anziché la classica logica del “meno peggio”»

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