Tajani e l’azione (con altri 12 Stati) per impedire l’operazione a Rafah

In una lettera, i ministri degli Esteri dei Paesi coordinati dall’Italia chiedono a Israele di «rispettare pienamente il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale»

È un’operazione (solo) diplomatica, ma imponente: 13 Paesi hanno inviato una lettera a Israele affinché eviti un intervento militare su larga scala a Rafah, nella Striscia di Gaza. La lettera è firmata dai ministri degli Esteri degli Stati tra i più economicamente avanzati: Canada, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Giappone, Italia, Nuova Zelanda, Olanda, Regno Unito, Svezia, Australia e Corea del Sud. A coordinare l’iniziativa, Antonio Tajani, in quanto il nostro Paese regge la presidenza del G7. Il testo parte da una premessa di «sdegno» e condanna per «il brutale attacco terroristico condotto da Hamas e da altri gruppi terroristici contro Israele, il 7 ottobre», ed esorta i terroristi a rilasciare «tutti gli ostaggi immediatamente e senza condizioni».


Poi, però, i titolari degli Esteri delle Nazioni coinvolte pretendono che Israele, «nell’esercitare il proprio diritto alla difesa, rispetti pienamente il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale». Prosegue la lettera: «Vi scriviamo alla luce della devastante e crescente crisi umanitaria in tutta Gaza e desideriamo chiedere al governo israeliano un’azione urgente per affrontarla». Il documento, formalmente indirizzato al ministro degli Esteri Israel Katz, si conclude con la richiesta di un piano per affrontare la crisi umanitaria che affligge i palestinesi: «Ribadiamo la nostra opposizione a un’operazione militare su larga scala a Rafah, che avrebbe conseguenze catastrofiche sulla popolazione civile. Ribadiamo la nostra richiesta di un piano credibile e attuabile per proteggere la popolazione civile e rispondere alle sue esigenze umanitarie».


La polemica sulla società di munizioni della famiglia di Fiocchi (FdI)

Intanto, all’interno dei confini italiani, si riaccende la polemica nei confronti di Pietro Fiocchi, eurodeputato uscente e ricandidato alle prossime elezioni da Fratelli d’Italia. Già criticato per i manifesti elettorali in cui imbraccia un fucile, il politico ha un business di famiglia nel settore della produzione di munizioni. Qualcuno ha accusato la società che porta il suo stesso cognome di vendere i propri prodotti a Israele. «La Fiocchi Munizioni non ha mai avuto relazioni commerciali con le forze armate israeliane», si legge in una nota. «Stiamo subendo attacchi violenti che non sono in alcun modo giustificabili. Basterebbe sapere che Israele ha una propria fabbrica per la produzione delle munizioni. E in eventuale necessità di acquisto si rivolge al mercato americano. Più precisamente l’azienda non produce armi, ma munizioni di piccolo calibro e non ha mai venduto alle forze armate israeliane. Informarsi correttamente è il primo passo utile per un dialogo onesto e libero da pregiudizi tra aziende e società civile. Una società civile che legittimamente manifesta per le proprie idee, deve prima di tutto documentarsi sullo stato delle cose».

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