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L’Italia accelera sull’idrogeno: al via i lavori per una Gigafactory alle porte di Milano e il primo esperimento per produrre acciaio «green»

Se prodotto con fonti pulite, l'idrogeno rappresenta una delle soluzioni migliori per abbattere le emissioni delle industrie più energivore (e inquinanti)

C’è anche l’idrogeno, elemento più leggero e abbondante dell’intero universo, tra i protagonisti della transizione energetica italiana ed europea. I primi passi di Bruxelles per incentivarne l’utilizzo risalgono addirittura al 2003, ben prima che l’Ue si attrezzasse a contrastare l’avanzata dei cambiamenti climatici con il maxi-pacchetto legislativo del Green Deal. In quegli anni, c’era Romano Prodi a guidare la Commissione europea. E fu lui a insistere affinché il Vecchio Continente si dotasse di una «Piattaforma tecnologica europea per l’idrogeno e le celle a combustibile». Vent’anni più tardi, alcune potenzialità dell’idrogeno si sono rivelate meno promettenti del previsto – per esempio sulle automobili -, ma il primo elemento chimico della tavola periodica continua a essere un ingrediente fondamentale nel ventaglio di soluzioni necessarie per ridurre le emissioni climalteranti e frenare il riscaldamento globale.

Il polo dell’idrogeno alle porte di Milano

L’Italia è uno dei Paesi europei che più si sta attrezzando per creare una vera e propria filiera dell’idrogeno. Uno dei contributi principali arriverà da Cernusco sul Naviglio, alle porte di Milano, dove De Nora sta costruendo una Gigafactory che, una volta conclusi i lavori, diventerà il più grande polo produttivo di idrogeno verde su tutto il territorio nazionale. L’edificio, di circa 25mila metri quadrati, si occuperà principalmente della produzione di elettrolizzatori, ossia di quei dispositivi che, alimentati da energia elettrica, permettono di rompere le molecole dell’acqua e separare l’idrogeno dall’ossigeno. Il progetto è stato co-finanziato con i fondi europei del Next Generation Eu – finora con 32 milioni di euro, ma potrebbero diventare 63 – e dovrebbe essere completato entro la fine del 2025.

Cosa farà la Gigafactory

La più grande Gigafactory d’Italia porta la firma di Memo Colucci, architetto milanese classe 1964. «Per realizzarla mi sono ispirato all’idea di Adriano Olivetti: creare un ambito industriale che sia amico della città e del territorio circostante», spiega l’architetto. E visto che si tratta di un progetto chiave per la transizione ecologica italiana, anche la costruzione della fabbrica ha seguito standard rigorosi di sostenibilità, a partire dalla scelta di edificare su un’ex area industriale ormai in disuso e non su un terreno vergine. «Abbiamo riutilizzato i materiali dei vecchi edifici evitando tantissimi viaggi dei camion», precisa Colucci. E aggiunge: «Per il riscaldamento sfrutteremo la geotermia, mentre ci sarà un impianto fotovoltaico a coprire almeno in parte i consumi energetici la fabbrica».

La fabbrica sarà ad appena 200 metri dalla metropolitana ed è collegata con il centro di Cernusco anche da una pista ciclabile. «Ci sarà anche un museo aziendale, per comunicare a studenti, e non solo, le potenzialità dell’idrogeno verde», spiega l’architetto. Per quanto riguarda la fabbrica in sé, ci saranno tre principali aree produttive: una destinata alla produzione di elettrolizzatori, una per la produzione di componenti per l’elettrolisi e una per il trattamento specifico delle acque. Entro il 2030, la Gigafactory di Cernusco sul Naviglio raggiungerà una capacità produttiva di 2 gigawatt equivalenti, aiutando il resto dell’Unione europea a raggiungere gli obiettivi di produzione dell’idrogeno verde fissati nel programma RePowerEU: 10 milioni di tonnellate all’anno entro il 2030.

DE NORA | Un render della Gigafactory in costruzione a Cernusco sul Naviglio, a Milano

I diversi tipi di idrogeno

Il grande vantaggio dell’idrogeno è che, comunque lo si usi, non produce emissioni inquinanti, ma semplice vapore d’acqueo. Si tratta inoltre di un vettore energetico molto efficiente, il che lo rende ideale per stoccare l’energia in eccesso prodotta da fonti rinnovabili. C’è però anche un problema: l’idrogeno si trova quasi sempre legato ad altri elementi, come l’ossigeno (nell’acqua) o il carbonio (nel metano). Questo significa che l’idrogeno ha bisogno di essere prodotto: scomponendo l’acqua oppure attraverso trasformazioni chimiche a partire da combustibili fossili. Le diverse modalità attraverso cui si può produrre l’idrogeno hanno ovviamente impatti molto diversi in termini di emissioni.

L’idrogeno «marrone», per esempio, viene ricavato attraverso la gassificazione del carbone ed è il più inquinante in assoluto. Ci sono poi l’idrogeno «grigio» (ricavato dal gas) e quello «blu» (prodotto con la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica). L’idrogeno può però essere prodotto anche tramite il processo di elettrolisi, che separa gli atomi di idrogeno e di ossigeno presenti nella molecola dell’acqua. Se l’energia elettrica utilizzata per questo processo viene da una centrale nucleare si parla di idrogeno «rosa», se viene da fonti rinnovabili si parla di idrogeno «verde».

L’industria pesante e il caso dell’ex Ilva

Una volta prodotto, l’idrogeno può generare energia elettrica nelle cosiddette «celle a combustibile», una tecnologia impiegata oggi in alcune automobili, ma più costosa e 2,5 volte meno efficiente rispetto alle batterie. L’utilizzo migliore per l’idrogeno è nei settori industriali hard-to-abate, ossia quelli in cui l’elettrificazione è tecnicamente difficile e poco competitiva. Si tratta dei settori particolarmente energivori e dove è più complesso abbattere le emissioni di gas serra, come l’industria dell’acciaio, della ceramica, del cemento, l’industria chimica, ma anche il trasporto navale e aereo. A luglio 2024, la Tenaris Dalmine – leader mondiale nella produzione di tubi – è diventata la prima azienda in Italia a impiegare l’idrogeno in un impianto siderurgico. Una sperimentazione lanciata in collaborazione con Snam e Tenova, che avrà una durata iniziale di sei mesi. Il progetto prevede di utilizzare l’idrogeno prodotto in loco per alimentare un bruciatore, installato in un forno per la laminazione a caldo di tubi senza saldatura. Negli ultimi anni, l’idrogeno è stato proposto anche come possibile soluzione per alimentare i futuri forni elettrici dell’ex Ilva. Una ricetta che, se messa in pratica, permetterebbe alla storica acciaieria di Taranto di continuare a produrre, ma senza iniettare altri veleni nell’atmosfera (oltre alle polveri).

Lo stabilimento ex Ilva visto dai tetti del quartiere Tamburi, a Taranto, nel 2013 (ANSA/Ciro Fusco)

Gli altri progetti in corso

Al di là di come finirà la conversione dell’ex Ilva, ci sono diversi progetti in corso in Italia che riguardano da vicino il settore dell’idrogeno. Uno dei principali riguarda la creazione di 54 Hydrogen Valleys, ossia «valli dell’idrogeno» in cui installare elettrolizzatori – proprio come quelli prodotti nella Gigafactory di Cernusco sul Naviglio – in prossimità di siti industriali. Attualmente, sono 54 i progetti in corso sull’idrogeno che hanno ricevuto finanziamenti del Pnrr. A fine 2023, Regione Lombardia ha presentato a Milano il primo treno a idrogeno d’Italia, che entrerà in servizio in Valcamonica tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025, lungo la linea Brescia-Iseo-Edolo, che non è elettrificata e ad oggi vede transitare solo treni alimentati con fonti fossili. C’è poi SoutH2 Corridor, il progetto co-finanziato dall’Unione europea e sviluppato dall’Italia insieme a Germania e Austria. Il gasdotto, lungo oltre 3mila chilometri, collegherà il Nord Africa con l’Europa e permetterà di importare 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde entro il 2030.

Un treno 100% a idrogeno, realizzato da Deutsche Bahn e Siemens, a Wegberg, in Germania (EPA/Sascha Steinbach)

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