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Regeni, parla il testimone che ascoltò le confidenze di un torturatore: «Diceva “l’abbiamo distrutto”»

12 Dicembre 2024 - 14:54 Alba Romano
Le dichiarazioni nel corso del processo che si sta svolgendo a Roma. Perché le rivelazioni del testimone sono state fondamentali per arrivare al rinvio a giudizio

A quasi nove anni dall’uccisione del ricercatore italiano, il processo per l’omicidio di Giulio Regeni in corso a Roma entra nel vivo con le testimonianze più clamorose. E quella avvenuta oggi a piazzale Clodio è importante soprattutto perché inquadra da vicino il ruolo dei presunti responsabili prima del rapimento e quindi della tortura fino all’uccisione del giovane arrivato al Cairo per studiare il lavoro e le organizzazioni sindacali cittadine. Il testimone che ha preso la parola, infatti, è colui che ha consentito l’incriminazione di Majdi Ibrahim Abdel-Al Sharif e quindi della sua squadra, perché nel 2019 raccontò – e ha confermato oggi in aula – che nel 2017, in un caffè di Nairobi, capitale del Kenya, ascoltò alcuni funzionari egiziani discutere in arabo del caso del “ragazzo italiano”.

Il verbale con le accuse al Maggiore

Durante quella conversazione, dopo aver osservato uno scambio di biglietti da visita, il testimone identificò uno degli interlocutori come il maggiore Majdi Ibrahim Abdel-Al Sharif, 35 anni, che sosteneva di essere coinvolto nel rapimento e nella morte di Giulio Regeni. Secondo i primi racconti del testimone, i funzionari ritenevano Regeni una spia britannica. E davanti a lui Al Sharif avrebbe affermato di aver colpito e schiaffeggiato lo studente italiano dopo averlo caricato su un furgone della polizia. Se dal suo primo verbale sembrava che non ci fosse stato riferimento a cose più violente, oggi in aula, il testimone è stato molto più esplicito: «Finally we got him and we crashed him – Alla fine lo abbiamo preso e lo abbiamo distrutto, l’abbiamo fatto a pezzi», è la frase più forte che ricorda di aver sentito pronunciare ad Al Sharif.

Le imputazioni

In seguito anche a questa testimonianza, oggi ripercorsa in aula grazie alle domande del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, sono a processo, in contumacia, quattro ufficiali della National Security Agency, il servizio segreto interno egiziano: lo stesso Magdi Al Sharif, il generale Tariq Sabir, e i colonnelli Kamel Athar e Usham Helmi.

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