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La regista siriana Soudade Kaadan: «È straziante vedere l’Europa che sospende le richieste d’asilo» – L’intervista

12 Dicembre 2024 - 18:39 Alessandra Mancini
Dopo la caduta del regime di Assad, gli Stati membri hanno deciso di mettere in pausa l'esame delle richieste d'asilo dei cittadini siriani. La regista premiata a Venezia e al Sundance ha lasciato Damasco nel 2012 e oggi vive a Londra, a Open: «Le persone dovrebbero avere il diritto di scegliere se restare o partire»

Sono bastati dieci giorni alla coalizione di forze ribelli per abbattere il regime sanguinario di Bashar al-Assad. Un’offensiva e un tracollo dell’apparato statale militare che ha colto tutti di sorpresa. Sebbene la Siria sia entrata in una nuova era è ancora presto per capire cosa accadrà. Ciò che è certo è che il processo di ricostruzione – anche politica ed economica – sarà inevitabilmente lungo. «Il Paese è a un bivio nella sua storia e non sappiamo ancora quale strada prenderà», dice a Open la regista siriana Soudade Kaadan, che ha lasciato Damasco nel 2012 e oggi vive a Londra. Nei film della cineasta, premiati in numerosi festival internazionali tra cui Venezia e il Sundance, la Siria ritorna costantemente. Nel 2022 il lungometraggio Nezouh – Il buco nel cielo, la storia di una famiglia che decide di rimanere a Damasco nonostante la guerra civile, ha vinto il premio degli Spettatori alla Mostra del Cinema di Venezia e il premio Diritti Umani Amnesty International al Medfilm Festival. Oggi, Kaadan osserva da lontano ciò che sta accadendo in Siria. «Ma l’incertezza della situazione – sottolinea – non diminuisce la nostra celebrazione per il crollo del regime». I siriani che sono rimasti nel Paese e quelli che hanno cercato rifugio all’estero si sono infatti riversati nelle strade per festeggiare la fine del sistema politico, di controllo e repressione dominato da oltre cinquant’anni dalla famiglia Assad e da una struttura di clientele, trasversali alle appartenenze religiose e comunitarie. 

E la caduta del dittatore ha alimentato inevitabilmente il sogno di molti siriani di poter tornare nel proprio paese dopo anni di esilio forzato. Anche perché «nessuno lascia casa a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo», ricorda la cineasta. Le parole del testo, Home, della poetessa Warsan Shire, fuggita dalla Somalia sull’orlo di una guerra civile, sono più che mai attuali. «Il desiderio di restare, di rimanere radicati nella propria terra – afferma -, è incredibilmente forte». I ribelli al potere hanno invitato i profughi a tornare nella «Siria libera» per ricostruire. Centinaia di rifugiati, scappati in Turchia dopo l’inizio della guerra civile del 2011 e l’oppressione del regime, si sono messi in fila al valico di frontiera per poter rientrare nel paese. L’Unione europea si è invece mostrata “cauta”: per Bruxelles ritornare in Siria non è ritenuto sicuro per l’incertezza della situazione. Mentre molti Stati membri – compresa l’Italia – hanno deciso di mettere in pausa l’esame delle richieste d’asilo dei cittadini siriani

Che notizie arrivano dalla Siria?

«Non ho dormito per una settimana: sono stata costantemente in contatto con la mia famiglia a Damasco e ho seguito ogni notizia da tutti i canali. La notte prima della liberazione della città è stata la più difficile. Non sapevamo se ci sarebbe stato un altro bagno di sangue o se il regime avrebbe distrutto completamente la città, come aveva minacciato. Sorprendentemente, Damasco era già vuota prima che arrivasse Hts (Hay’at Tahrir al-Sham, ndr): l’esercito e i posti di blocco coi soldati non c’erano già più. L’opposizione nelle periferie aveva preso l’iniziativa, abbattendo le statue dei vecchi dittatori il giorno prima dell’arrivo dei combattenti. La mia città non ha aspettato, e per questo sono fiera. Sono preoccupata per il futuro? Assolutamente. La Siria è a un bivio nella sua storia e non sappiamo ancora quale strada prenderà. Tutti sogniamo una Siria libera e secolare. E questo è ancora da vedere. Tuttavia, questo non diminuisce la nostra celebrazione del momento. Questa è la prima settimana della mia vita, da quando sono nata, senza il regime. È una sensazione che non avrei mai immaginato, e mi dà speranza, anche in mezzo all’incertezza».

Nei tuoi film riesci sempre a far comprendere la complessità della situazione siriana. Come può (e deve) essere raccontata la realtà attuale?

«La situazione in Siria è sempre stata complessa, e lo è ancora oggi. È troppo presto per comprendere appieno la realtà di ciò che sta accadendo. L’escalation rapida degli eventi, unita ai cambiamenti nei ruoli di nuovi attori sul terreno che affermano di essere cambiati, rende difficile formare una prospettiva chiara in questo momento. Una volta che il caos della transizione si sarà placato, il tempo offrirà chiarezza, permettendo una comprensione più accurata della situazione e una valutazione delle loro azioni sul terreno. Come cineasta, abbraccio la lentezza del cinema. I film richiedono tempo per essere creati, ed è una benedizione: permette riflessione, profondità e una più sfumata esplorazione della verità. Credo che questa pazienza sia essenziale quando si raccontano storie sulla Siria, per assicurarsi di non semplificare la complessità, né di correre verso conclusioni affrettate».

Nel tuo lungometraggio Nezouh – il buco nel cielo i protagonisti devono prendere una scelta importante: restare in Siria o partire e accettare di diventare rifugiato in un altro Paese. Che tipo di scelta è? Pensi che, dopo la caduta del regime, molti siriani torneranno nella loro patria?

«Questo è il dilemma profondo che tanti siriani hanno dovuto affrontare. Come ha scritto la poetessa Warsan Shire Nessuno lascia casa a meno che casa non sia la bocca di uno squalo. Il desiderio di restare, di rimanere radicati nella propria terra, è incredibilmente forte. La prova di ciò è stata evidente il giorno dopo la caduta del regime: anche prima che l’elettricità fosse ripristinata, abbiamo visto delle bellissime riprese delle macchine che tornavano a Damasco, trasformando le strade buie in fiumi di luce. I siriani che si erano rifugiati in Turchia e Libano erano ansiosi di tornare a casa, ora che si sentivano al sicuro. Anche adesso, si vedono lunghe file ai confini. Questo, anche prima che gli aeroporti riprendano a funzionare».

Cosa pensi del fatto che molti Paesi europei stanno sospendendo l’esame delle richieste di asilo da parte dei cittadini siriani?

«È straziante. Le persone dovrebbero avere il diritto di scegliere se restare o partire, soprattutto quando la situazione in Siria è ancora incerta. Mentre i Paesi europei esprimono cautela sui cambiamenti in Siria, temendo che possa trasformarsi in uno stato islamista, allo stesso tempo affermano che è sicuro tornare! Queste due politiche sono profondamente contraddittorie e non affrontano i rischi ancora presenti nel paese».

Stai pesando a un nuovo film, magari su questa “nuova era”? 

«È troppo presto per dire se farò un film su questa nuova era. Finora, tutti i miei film sono stati in qualche modo legati alla Siria. Sono profondamente interessata a raccontare storie sul mio paese, ma sono anche attratta dal raccontare storie provenienti da altri luoghi, sempre attraverso la mia prospettiva. Quello che so è che la passione guida ogni progetto che intraprendo. Deve esserci un desiderio urgente, travolgente, di raccontare una particolare storia. In questo momento, sto vivendo questi eventi come siriano, come essere umano normale, come qualcuno che sta vivendo uno dei momenti più significativi della storia moderna del mio paese».

Che futuro vedi per la Siria?

«Visto che provengo da un Paese dilaniato dalla guerra, non abbiamo il lusso di “vedere” semplicemente il futuro, dobbiamo attivamente plasmarlo. La lotta per una Siria libera e secolare è in corso, e diventerà realtà solo se ogni siriano si impegnerà a combattere per essa».

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