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Il farmaco delle diete miracolose favorisce la depressione? Il nuovo studio (mentre crollano i guru delle diete)

01 Maggio 2025 - 14:12 Gemma Argento
ozempic una iniezione
ozempic una iniezione
Una nuova ricerca internazionale mette in luce i potenziali effetti neuropsichiatrici dei farmaci anti-obesità come Ozempic, evidenziando un possibile aumento del rischio di disturbi d’ansia, sintomi depressivi e istinti suicidari e riaccendendo il dibattito sulla sicurezza garantita. Nel frattempo un declino accelerato: dai club storici degli Weight Watchers ai coach motivazionali

Nel giro di pochi anni, i nuovi farmaci anti-obesità hanno trasformato quello che per milioni di persone era un percorso di rinunce e frustrazioni in una promessa rapida e farmacologica. Semaglutide, tirzepatide, GLP-1 agonisti: nomi fino a poco tempo fa sconosciuti oggi sono diventati sinonimi di una nuova era nella gestione del peso. Ma mentre le percentuali sulla bilancia scendono, cresce – tra medici e ricercatori – una domanda cruciale: quanto conosciamo davvero queste nuove soluzioni? La scienza si muove veloce non solo per confermarne i benefici, ma anche per comprenderne i possibili effetti collaterali, soprattutto sul cervello, sull’umore e sul comportamento.

Gli effetti sull’umore

Uno studio internazionale appena pubblicato accende un faro su un aspetto ancora poco discusso: gli effetti dei farmaci per il dimagrimento sul sistema dopaminergico, e cioè su uno dei principali circuiti cerebrali che regolano l’umore, la motivazione e la dipendenza. Secondo i ricercatori, in soggetti predisposti, queste nuove soluzioni farmacologiche potrebbero interferire aumentando il rischio di sintomi depressivi, disturbi d’ansia e, nei casi più severi, ideazione suicidaria. Ventiquattro scienziati da diverse università del mondo hanno firmato uno studio su Current Neuropharmacology che punta i riflettori su un possibile effetto collaterale dei cosiddetti agonisti del GLP-1, farmaci come semaglutide (noto come Ozempic) e tirzepatide (Mounjaro), diventati in pochi anni strumenti potentissimi nella lotta all’obesità.

Incrocio tra farmaci e genetica

I ricercatori hanno utilizzato sofisticate analisi farmacogenomiche, ovvero tecniche che mettono in relazione l’effetto dei farmaci con il profilo genetico delle persone. Si sono chiesti: è possibile che questi farmaci agiscano in modo diverso a seconda del tipo di “chimica cerebrale” di chi li assume? La risposta sembra essere sì. E questo potrebbe spiegare perché, se da un lato molte persone ottengono benefici significativi, in altri casi si sono registrati effetti collaterali proprio a livello psichico. Gli scienziati riferiscono quindi come, in soggetti predisposti, questi farmaci potrebbero interferire con i circuiti cerebrali adibiti all’equilibrio di soddisfazione e piacere, aumentando così il rischio di sintomi depressivi.

Gli altri casi

Per la scienza medica questa non è una novità. Una dinamica simile è stata osservata anche con altri trattamenti farmacologici che influenzano la dopamina, come alcuni antipsicotici o farmaci per la malattia di Parkinson, nei quali l’attivazione o la soppressione di determinati recettori dopaminergici può provocare alterazioni del comportamento, dell’umore o tendenze compulsive. È per questo motivo che lo studio invita a considerare con attenzione il profilo neurobiologico dei pazienti prima della prescrizione.

Il cervello, la dopamina e l’equilibrio fragile

Al centro della ricerca c’è la dopamina, una sostanza chimica fondamentale per il cervello. La dopamina regola il senso di ricompensa, la motivazione, l’umore e persino l’impulso a compiere determinate azioni. Alcune persone, per ragioni genetiche, producono troppa dopamina; altre, invece, ne producono troppo poca. Questi due stati sono noti come iperdopaminergia e ipodopaminergia. Secondo lo studio, i farmaci anti-obesità potrebbero amplificare questi squilibri. Per esempio, chi ha già una bassa attività dopaminergica – e dunque una predisposizione a stati depressivi o alla dipendenza – potrebbe essere più vulnerabile ad effetti collaterali a livello psichico. I ricercatori hanno trovato collegamenti tra questi effetti e vari geni chiave, come DRD3, BDNF e CREB1, noti per il loro ruolo nella regolazione dell’umore e delle risposte emozionali.

«Questo studio non dovrebbe essere ignorato, nonostante l’entusiasmo per i risultati clinici positivi dei GLP-1 agonisti», spiega Kenneth Blum, autore senior della ricerca. «Invitiamo la comunità medica a procedere con cautela per evitare un’altra tragica ondata di persone che muoiono per perdere peso».

Farmaci personalizzati: la via del futuro?

Il messaggio degli scienziati non è quello di sospendere l’uso dei farmaci anti-obesità, ma di personalizzare meglio la terapia. Uno dei suggerimenti chiave è quello di introdurre, prima della prescrizione, test genetici che possano individuare i pazienti a rischio di ipodopaminergia. «Prima di prescrivere i GLP-1 agonisti, sarebbe prudente utilizzare strumenti di test genetici per valutare la funzione dopaminergica del paziente e il profilo di rischio di dipendenza», spiega Panayotis K. Thanos, neuroscienziato dell’Università di Buffalo, co-autore dello studio.

«Questo tipo di approccio potrebbe evitare situazioni in cui il farmaco, invece di aiutare, finisce per alterare l’equilibrio emotivo di chi lo assume», continua il prof. Mark S. Gold, pioniere nello studio delle dipendenze: «Abbiamo una lunga storia di entusiasmo per i farmaci che poi si rivela prematuro. Bisogna andare cauti». I GLP-1 agonisti restano una delle scoperte più promettenti nella lotta contro l’obesità, una condizione che affligge milioni di persone nel mondo e che comporta rischi gravi per cuore, fegato, metabolismo. «Ma la medicina moderna», sottolinea lo studio, «deve fare i conti con la complessità della biologia umana, che non può essere ignorata in nome della velocità o della moda».

La trasformazione dell’industria della dieta

Con la crescente diffusione dei farmaci anti-obesità, come semaglutide e tirzepatide, stiamo assistendo a un cambiamento radicale nel panorama della gestione del peso. Noti per la loro efficacia nel ridurre l’appetito e facilitare la perdita di peso, i nuovi farmaci per il dimagrimento stanno influenzando profondamente anche l’industria della dieta, compresa l’efficacia comunicativa dei suoi protagonisti, tra motivatori e guru della perdita di peso.

La crisi dei Weight Watchers

Per decenni hanno dominato copertine, programmi TV, scaffali di librerie e gruppi social: con grafici motivazionali, ricette ipocaloriche e formule a punti, i tesorieri della ricetta per il peso perfetto hanno costruito un vero e proprio impero culturale ed economico. Eppure oggi, di fronte alla diffusione sempre più capillare dei nuovi farmaci anti-obesità, anche queste figure sembrano perdere terreno.
Un caso emblematico è quello dei Weight Watchers, oggi rebrandizzati come WW, il celebre club della dieta che ha contato fino a 5 milioni di iscritti nel mondo, compresi migliaia di italiani. Nati negli Stati Uniti negli anni ‘60, arrivati in Italia negli anni ‘70 e rimasti attivi fino al 2006, hanno segnato l’immaginario collettivo del “dimagrire con metodo”. Ora, però, quella formula scricchiola. Come riportato dal Guardian, la società sta affrontando un momento critico: debiti per oltre 1,4 miliardi di dollari e il rischio concreto di bancarotta. La causa? L’ascesa rapida e inarrestabile dei GLP-1 agonisti, come semaglutide e tirzepatide, che in pochi mesi hanno cambiato le regole del gioco: da calorie e sacrifici, a iniezioni e risultati. E così, mentre milioni di persone nel mondo si rivolgono alla farmacologia per perdere peso, la vecchia scuola della dieta, fatta di coach, diari alimentari e incontri settimanali, rischia di apparire sempre più anacronistica.

La fine dei guru del dimagrimento?

Quello che sta accadendo ai Weight Watchers non è solo una crisi aziendale: è il sintomo di una trasformazione culturale profonda. Per decenni, il dimagrimento è stato presentato come un percorso di forza di volontà, rinunce e disciplina. I coach del peso, le app di monitoraggio e le diete ipocaloriche si sono affermate come un modello quasi morale: dimagrire significava “meritarselo”.

Ma i nuovi farmaci anti-obesità stanno riscrivendo questa narrazione. In pochi mesi, la perdita di peso non è più una battaglia quotidiana, ma un effetto collaterale farmacologico. Il controllo dell’appetito non si ottiene più con esercizi mentali o piani alimentari rigorosi, ma con molecole che agiscono direttamente sul cervello e sul metabolismo. Secondo il professor Tim Spector del King’s College di Londra, «la maggior parte del conteggio delle calorie è inutile. Se si restringono le calorie, si stimola l’appetito. È una battaglia persa in partenza». Il suo giudizio taglia le gambe a decenni di cultura popolare sul controllo del peso. E pesa anche su chi ha costruito carriere intere su questa visione.

Dall’ Italia all’addio silenzioso

Anche in Italia i Weight Watchers avevano costruito una comunità forte e fedele. Arrivati negli anni Settanta, hanno funzionato per decenni con gruppi settimanali guidati da animatrici esperte, spesso ex partecipanti. Il programma, basato su un sistema a punti e sulla motivazione collettiva, era considerato un’alternativa seria e sostenibile alle “diete lampo”. Nel 2006, la casa madre americana ha deciso di chiudere le attività nel nostro Paese, ma l’eredità è sopravvissuta attraverso un gruppo di ex coach che ha fondato Weight Wellness, un marchio italiano che continua a proporre un metodo simile, aggiornato e localizzato. Eppure, anche questa realtà oggi si trova a fare i conti con una nuova concorrenza: quella invisibile, silenziosa e velocissima delle terapie farmacologiche. Un cambiamento che non riguarda solo la scienza, ma il modo stesso in cui pensiamo al corpo, alla salute e alla responsabilità individuale.

Il futuro della dieta è medico, ma non solo

Nonostante la potenza dei farmaci, il bisogno di accompagnamento psicologico, di supporto sociale e di cambiamento delle abitudini non scompare. Anzi, molti esperti sostengono che le cure farmacologiche, da sole, non bastano. Il rischio è di spostare tutta l’attenzione sul sintomo, il peso, trascurando le cause più profonde del sovrappeso: stress, possibili relazioni disfunzionali con il cibo, abitudini familiari, traumi. In questo senso, i “vecchi” metodi non devono sparire, ma trasformarsi. Da modelli esclusivi di gestione del peso a strumenti integrati all’interno di percorsi più ampi, che comprendano farmaci, psicoterapia, educazione alimentare e sostegno sul lungo periodo.

Foto copertina: Unsplash/Haberdoedas

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