Referendum dell’8 e 9 giugno, il Pd presenta una interrogazione contro il «silenzio della Rai»: «Il servizio pubblico non faccia propaganda»


In una giornata scarica di appuntamenti istituzionali e in cui gli scranni della Camera dei deputati sono praticamente vuoti, in Aula si torna a parlare di materia elettorale. Al centro del dibattito c’è il decreto legge recante “Disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2025”, che riguarda i prossimi appuntamenti elettorali: le elezioni amministrative del 25 e 26 maggio e i referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno. Banchi vuoti, una discussione lampo – durata appena una ventina di minuti – che si intreccia con il tema politico della giornata: il silenzio che circonda i cinque quesiti referendari, promossi da sindacati e partiti di opposizione. Secondo il centrosinistra, la Rai non starebbe garantendo un’adeguata copertura informativa. Un silenzio che l’opposizione non esita a definire «un gravissimo boicottaggio», attribuito a «scelte deliberate dai piani alti di Palazzo Chigi». Per questa ragione, oggi, 12 maggio, il Pd ha presentato un’interrogazione alla Commissione di vigilanza Rai, chiedendo «perché la Rai non stia adempiendo al suo dovere» e cercando di capire «chi abbia deciso di tenere i cittadini all’oscuro», come si legge nella nota.
«Strumento di propaganda»
«Il servizio pubblico non può diventare uno strumento di propaganda per la maggioranza di governo», si legge nel comunicato. «I cittadini hanno il diritto a un’informazione completa e libera, soprattutto quando sono chiamati a esprimersi su temi cruciali come quelli contenuti nei quesiti referendari». La richiesta di assicurare un’adeguata informazione attraverso spazi televisivi pubblici era stata una delle priorità poste da Riccardo Magi e Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, nel corso di un incontro con il governo che si è svolto l’11 marzo scorso.
«Un silenzio indecente»
«Un silenzio indecente», denuncia Marco Tarquinio, eurodeputato indipendente eletto nelle liste del Partito Democratico, riferendosi alla mancata copertura da parte della Rai sui referendum. Un atteggiamento che, secondo il dem, si inserisce in un contesto più ampio di «aperto boicottaggio da parte del governo Meloni», evidenziato anche dagli appelli all’astensione lanciati nei giorni scorsi da diversi esponenti della maggioranza, con l’unica eccezione di Noi Moderati, che ha invitato i cittadini ad andare alle urne e a votare “no”. «Nessun approfondimento, nessun dibattito, solo “pillole” tecniche e superficiali – aggiunge Tarquinio – La linea mediatica adottata sembra essere quella indicata dalla seconda carica dello Stato (si riferisce ad Ignazio La Russa, il presidente del Senato, che negli scorsi giorni ha detto che «farà propaganda affinchè la gente resti a casa») e da altri esponenti della destra: non informare, incentivare un non-voto per inerzia. Tutto questo è grave e inaccettabile».
Renzi: «Un vero autogol»
Non è d’accordo con il Partito Democratico il fondatore di Italia Viva, Matteo Renzi, artefice del Jobs Act – la riforma del lavoro varata durante il suo mandato da presidente del Consiglio – alcune parti del quale verrebbero abrogate qualora venissero approvati i quattro referendum sul lavoro promossi dalla Cgil. «Che bisogno c’era di fare un referendum sul Jobs Act e su norme di 10 anni fa? E’ un errore della Cgil aver fatto questo referendum ora. Il dramma di oggi non sono i licenziamenti ma gli stipendi bassi» ha dichiarato Renzi. Per l’ex premier si tratta di «un vero autogol», perché – secondo lui – Meloni, dopo aver ricevuto Landini per discutere di politiche sulla sicurezza, «se la gode a vedere» il segretario del sindacato «chiedere l’abrogazione delle riforme fatte dallo stesso Pd, dai governi Renzi, Gentiloni e persino da Conte»
«Battaglia interna al centrosinistra»
A confermare la tesi di Renzi sembra esserci anche Mara Carfagna, segretaria di Noi Moderati: «Quella sui referendum mi pare una battaglia tutta interna alla sinistra. È piuttosto curioso – ribadisce – per usare un eufemismo, che la sinistra di oggi chieda di abrogare norme sul lavoro approvate dalla sinistra di ieri». «Sul lavoro – ha poi aggiunto – non si interviene attraverso i referendum, si agisce in Parlamento. Io ritengo perciò legittimo che chi non condivide lo strumento referendario come iniziativa per abrogare delle norme o chi non condivide il merito dei quesiti referendari si astenga».