Ultime notizie Donald TrumpGazaJannik SinnerPapa Leone XIVUcraina
ECONOMIA & LAVOROEx IlvaGoverno MeloniLavoro e impresaPugliaSindacatiTaranto

Ex Ilva, chiesta la cassa integrazione per quasi 4mila operai. Sindacati e opposizioni contro il governo: «Un fallimento totale»

13 Maggio 2025 - 12:39 Bruno Gaetani
ilva famiglie taranto restituire risarcimento
ilva famiglie taranto restituire risarcimento
L'incendio della scorsa settimana ha compromesso la produzione. Il ministro Urso: «Il negoziato con gli azeri è ai nodi cruciali»

Acciaierie d’Italia ha comunicato ai sindacati la richiesta di cassa integrazione per 3.926 lavoratori, di cui 3.538 nello stabilimento ex Ilva di Taranto. L’annuncio arriva a poco più da una settimana dal grave incendio che lo scorso 7 maggio ha coinvolto l’acciaieria, portando al dimezzamento della produzione e al sequestro, disposto dalla procura, dell’altoforno 1. La cassa integrazione è stata richiesta, oltre che per i dipendenti dell’ex Ilva di Taranto, anche per 178 lavoratori del sito di Genova, 165 di Novi Ligure e 45 di Racconigi.

Urso: «Il piano industriale non sarà rispettato»

La decisione dell’azienda era stata anticipata questa mattina dal ministro per le Imprese, Adolfo Urso, durante un’intervista a Radio24. «Avevamo detto che era necessario fare le attività di messa in sicurezza dell’impianto. Purtroppo l’autorizzazione è stata data troppo tardi e ha compromesso l’attività produttiva, cioè l’altoforno 1. Questo vuol dire che non ci sarà più la possibilità di riprendere un livello produttivo significativo come previsto nel piano industriale, che avrebbe portato alla piena decarbonizzazione degli impianti mantenendo una fase di transizione produttiva e quindi anche occupazionale», ha detto Urso. Per quanto riguarda la cessione dell’impianto, messa potenzialmente a rischio dallo stop dell’altoforno 1, il ministro ha precisato che il negoziato con gli azeri «è in corso, è giunto ai nodi cruciali, noi andiamo avanti con chiarezza, ci auguriamo che tutti collaborino».

Insorgono sindacati e opposizioni

La notizia della cassa integrazione per quasi 4mila operai dell’ex Ilva è stata accolta con un coro di sdegno da sindacati e opposizioni. Per Michele De Palma, segretario generale della Fiom, «non possono essere sempre i lavoratori e i cittadini di Taranto a pagare». L’invito rivolto alla politica, dunque, è di realizzare il piano di transizione: «Servono le risorse. Il governo – dice De Palma – intervenga per poter mettere in produzione lo stabilimento e salvaguardare la salute delle persone con la decarbonizzazione». Raffaella Paita, capogruppo al Senato di Italia Viva, punta il dito contro l’esecutivo di Giorgia Meloni: «La situazione dell’ex-Ilva di Taranto è ormai drammatica. Vi sono gravi responsabilità del governo e di Urso per questa crisi. Con che faccia il ministro adesso viene a dirci che di fatto l’azienda va verso la chiusura e ci saranno altra cassa integrazione e la perdita di altri posti di lavoro? È gravissimo, Urso si dovrebbe dimettere».

La procedura d’infrazione europea

La scorsa settimana, l’ex Ilva di Taranto è finita al centro anche di una nuova procedura d’infrazione della Commissione europea nei confronti dell’Italia. Bruxelles ha inviato infatti una lettera di costituzione in mora per non aver recepito la direttiva Ue sulle emissioni industriali. «L’Italia non garantisce che l’impianto operi in conformità con la normativa dell’Ue sulle emissioni industriali, con gravi conseguenze per la salute umana e l’ambiente», ha spiegato l’esecutivo comunitario in una nota. L’invito, dunque, è di adeguarsi al più presto ai limiti europei per proteggere la salute degli abitanti e il territorio di Taranto. L’Italia ha due mesi per rispondere, altrimenti la Commissione potrà procedere con un parere motivato e portare avanti l’iter di infrazione.

Foto copertina: ANSA/Ciro Fusco | Un’immagine dello stabilimento ex Ilva di Taranto nel 2013

leggi anche