Salvatore Bagni, le Iene e i 30 mila euro per la Vis Pesaro: «Ci facciamo pagare per farli giocare»


Per giocare a calcio da titolare bisogna pagare. Perché «quelli che cerchiamo noi, li paghiamo. Ma da quelli che non cerchiamo, ci facciamo pagare». Parola di Salvatore Bagni, centrocampista che ha vinto uno scudetto con il Napoli e ha giocato per 41 volte in Nazionale. A 69 anni, Bagni gestisce con il figlio Gian Luca l’agenzia di procure per calciatori «Be Gr8 Sport». L’inviato delle Iene Luca Sgarbi gli ha telefonato fingendosi fratello di un calciatore e chiedendogli aiuto. La risposta è stata chiara: 50 mila euro. 30 mila per lui e 29 mila per il direttore sportivo della Vis Pesaro Michele Menga, che l’avrebbe preso nella Primavera della squadra di serie C.
«Con loro si tratta, con me no»
L’inviato delle Iene ha registrato l’incontro in un bar di Cesenatico. Bagni gli ha detto che per la Vis Pesaro 20 mila euro sarebbero bastati: «Se vuoi, puoi fare una sponsorizzazione alla società, ma è meglio pagare il direttore, è più contento. E se il direttore dice all’allenatore che tuo fratello deve giocare, tuo fratello gioca. Punto». Per lui invece è stato chiarissimo: «Con loro si tratta, con me no». Il finto fratello del calciatore a quel punto gli ha offerto prima 5 mila, poi 10 mila, poi 20 mila euro. E lui gli ha risposto: «Noi meno di 30mila non facciamo con nessuno». In un parcheggio dello stadio Benelli è avvenuta la consegna della busta gialla con i 30 mila euro. Poi la rivelazione della trappola. Alla quale Bagni ha risposto farfugliando qualche frase e poi andandosene in moto.
La Vis Pesaro
Mauro Bosco, presidente della Vis Pesaro, ha sospeso il direttore sportivo: «La società si dichiara totalmente estranea ai fatti riportati nel corso del servizio televisivo», ha scritto il club in una nota, definendo «millantate» le vicende raccontate da Bagni. Ma il Quotidiano Nazionale oggi pubblica un’altra storia molto simile. Che riguarda i settori giovanili. Nei quali ci sarebbe addirittura un prezzario: 10mila euro per una maglia negli allievi fino agli 80mila per allenamenti in prima squadra con esordio. Le mazzette vengono regolarmente camuffate da spese per coprire vitto e alloggio. E c’è anche una testimone disposta a vuotare il sacco. Lei ha un figlio di 16 anni e chiede l’anonimato.
Il dorato mondo del pallone
«Nel dorato mondo del pallone c’è tanto marcio. Anche per colpa dei genitori. Mio figlio era in un gruppo di under 16 con padri e madri consenzienti che versavano di tutto, dal premio formazione alle commissioni ai dirigenti… Altri portavano lo sponsor», dice la donna a Giulio Mola. «Mio figlio è un classe 2009. È stato segnalato da un suo ex allenatore ad una persona vicina ad un procuratore sportivo, per eventuali provini. Lo contattano tramite whatsapp, ma nel giro di pochi miuti scopriamo che il provino non serviva. E pur non avendo mai visto il ragazzo giocare, questa persona ha proposto prima a lui e poi a me una squadra di Lega Pro nel Nord-Est. Chiedendo per lui 2mila euro di diritti d’agenzia».
Il campus
A quel punto, racconta ancora la donna, «il club organizzò un ‘campus’ e scoprimmo che era a pagamento. A quel punto si presentò una persona con la divisa sociale, disse di essere un collaboratore del responsabile del settore giovanile. Fu l’inizio dell’incubo: quel tipo cominciò a telefonarmi e messaggiarmi in continuazione, ripetendo che alla firma avrei dovuto versare pure 1.500 euro a lui su Postepay per il ’disturbo’ e altri 600 euro al mese per le spese di convitto…». Il racconto prosegue: «Chiesi a che titolo avrei dovuto dargli altri soldi dicendogli che ne avrei discusso con la società. Lui rispose sbraitando “il lavoro si paga!“. Replicai senza alzare la voce dicendo che avrei pagato al momento della firma ma subito dopo denunciai tutto al direttore generale, l’unica persona disponibile»
Il direttore generale
«Quando il diretto interessato fu chiamato per dare spiegazioni ovviamente negò tutto, e con lui il responsabile del settore giovanile, ma dopo la firma ho ricevuto telefonate e messaggi in cui il solito personaggio mi ricattava: “Se non paghi ti faccio strappare il tesseramento“. Ero terrorizzata ma non volevo pagare», sostiene. Il figlio però non giocava: «All’inizio era candidato per una maglia da titolare ma è finito in panchina perché non ero disposta a pagare. Ogni tanto mi chiamava chiedendomi dove l’avessi mandato perché tra i compagni del convitto si parlava di cifre che partivano dai 3mila fino ai 20mila euro pagate dai genitori per il ‘minutaggio’. Dopo tre mesi non ci ho visto più, sono andata sul posto e i dirigenti mi hanno mandata dal mister: “Suo figlio è un ragazzo senza talento“. Subito dopo mi ha contattato un altro procuratore, raccontandomi che non era l’allenatore a fare la distinta, ma che i giocatori e il minutaggio erano decisi dall’alto in seguito ad accordi finanziari. Ora mio figlio è tornato in Lombardia. Gioca nei regionali ma almeno si diverte».