Quella volta che Battisti diede un pugno a Ivan Cattaneo: «Così ho capito la sua lezione»


«Nel 1977 ero un ragazzino arrogante. Battisti mi chiese che cosa ne pensavo dell’album “Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera”. Io gli dissi che questa ritmica esagerata lo faceva sembrare un Barry White dei poveri. Mi mise in piedi davanti agli altoparlanti e lui appiccicato dietro di me, dicendomi “senti invece come ti arriva questo basso: quasi come un pugno nel petto” e mi sferra all’improvviso un poderoso pugno nello stomaco. Cado a terra, lui subito mi rimette in piedi, e insieme ridiamo a crepapelle… ma soprattutto avevo capito la lezione». A raccontare l’aneddoto è Ivan Cattaneo che oggi con Mario Luzzato Fegiz sul Corriere della Sera riepiloga la sua vita e la sua carriera.
Uno schizofrenico totale
Cattaneo è stato lanciato da Nanni ricordi: «Nasco come cantautore negli Anni 70, ho avuto successo negli 80 con i brani degli Anni 60. Insomma, uno schizofrenico totale». Italian Graffiti è l’album in cui ha reinterpretato in chiave moderna quei brani: «Un giorno chiesi a Caterina Caselli come si spiegava il successo di Italian Graffiati e lei disse “abbiamo mescolato il diavolo e l’acqua santa, canzoni semplici con un personaggio invece scandaloso e futuristico”». Spiega che oggi forse la musica non esiste più: «Oggi i ragazzini manco vogliono scaricarla o possederla: vanno su Youtube e il gioco è fatto».
I primi tre dischi
Ricorda i primi tre dischi che ha comprato: «Penny Lane dei Beatles, Lui di Rita Pavone e 19th Nervous Breakdown dei Rolling Stones». Oggi, invece, si fa «tanta fatica in sala d’incisione, per poi essere ascoltati in bassa risoluzione su un telefonino. Oggi l’offerta supera la domanda; ogni anno ormai ci sono più cacciatori che uccelli… Troppa roba: penso che oggi nell’arte e nella musica più che aggiungere bisogna togliere e arrivare all’essenziale, alla sintesi». E poi c’è l’autotune: «Con quello oggi cantano tutti la stessa canzone. Ai vertici delle classifiche ci sono Madonna, Jovanotti o quello del Caffè macchiato o Lucio Corsi, che non hanno poi una gran voce. E poi, parliamoci chiaro: avere una bella voce è un dono di natura, ma se non ci metti l’invenzione e la creatività… C’è una moltitudine di cantanti inutilmente bravi».
La personalità e il coming out
Per sfondare, dice, ci vuole la personalità: «Se noi analizziamo bene il successo di molte cantanti come Mina o Vanoni o Milva capiamo che vincevano per la bella voce, sì, ma mescolata a una gigantesca personalità». Poi parla del suo coming out: «L’ho fatto quando ancora non si usava nemmeno l’espressione coming out; prima di Pasolini, di Testori e di Tiziano Ferro. Sono stato, assieme a Mario Mieli, ad Angelo Pezzana e a pochi altri, uno dei padri fondatori del “Fuori!”. Debuttai al festival di Re Nudo cantando dopo Bennato e prima della Premiata Forneria Marconi. Mi presentai da solo con chitarra e voce dicendo che ero un cantautore omosessuale. Venne giù il mondo, un putiferio, gente che fischiava da ogni dove e che, insultandomi con le peggio parole omofobe, minacciava a momenti anche la lapidazione. Mi spiegarono poi che, per i comunisti di allora di Lotta Continua o Servire il popolo, l’omosessualità non era altro che un vizio piccolo borghese».
«Polisex»
«Polisex» è la sua canzone bandiera: «Nel 1980 volevo spiegare ben 40 anni prima quel tipo di amore che oggi chiamano fluido. Ma io allora ero assolutamente solo, non avevo modelli di riferimento e l’unico modello da prendere era me stesso. Così, un po’ rubando da un termine freudiano, scrissi “Polisex”». Oggi invece «assistiamo al remake del remake del remake, vedi i vari Maneskin, Achille Lauro, Rosa Chemical, trucco, unghie colorate, abiti variopinti. Mi sono chiesto spesso: ma cos’hanno questi meglio di me? Oggi non mi affascina e sorprende più nessuno, oggi anche la cassiera dell’Esselunga ha piercing e tatuaggi come la diva hollywoodiana. E allora dov’è la novità?».