Ricerca, arrivano nuovi contratti per accedere ai fondi Ue. I rettori festeggiano, i dottorandi accusano: «Strumento per pagarci poco»


Beffa evitata in extremis. L’Italia è corsa ai ripari dopo che i più autorevoli scienziati hanno denunciato il rischio esclusione dei ricercatori italiani da alcuni bandi europei per mancanza di contratti adeguati. Ieri sera, 20 maggio, il Senato ha approvato un emendamento al Ddl Pnrr Scuola che introduce due nuove figure contrattuali per i ricercatori: l’incarico di ricerca e l’incarico post-doc. Si tratta di uno strumento urgente per colmare un vuoto normativo che rischiava di tagliare fuori l’Italia dai fondi europei Marie Skłodowska-Curie, uno dei pilastri della ricerca. Il provvedimento, a firma del senatore Mario Occhiuto e della senatrice a vita Elena Cattaneo, è stato accolto con entusiasmo dalla ministra dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini: «È la risposta che la comunità scientifica attendeva dopo le forti preoccupazioni per il rischio di esclusione dai progetti europei». Ma se il governo e i rettori parlano di «svolta», dottorandi, sindacati e parte del mondo accademico si dicono critici: «Sono contratti deboli, nati in emergenza e pensati per pagare il meno possibile i giovani ricercatori», denuncia a Open Raffaele Vitolo, dell’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia (Adi).
La beffa delle Marie Curie: esclusi dai fondi per assenza di un contratto idoneo
La misura è arrivata dopo settimane di fortissime pressioni, dentro e fuori il Parlamento. Il casus belli è stato il nuovo pacchetto europeo da 1,25 miliardi di euro per il 2025 annunciato dalla Commissione europea a sostegno delle Marie Curie Actions, destinate a finanziare progetti di ricerca individuali, mobilità e formazione post-doc. Lo scorso 2 aprile, però, l’agenzia esecutiva dell’Ue ha imposto che i vincitori ricevano un contratto di lavoro vero e proprio, escludendo borse o assegni. In Italia il principale strumento per i giovani ricercatori – l’assegno di ricerca – è stato definitivamente abolito a gennaio 2025, in linea con una milestone del Pnrr che mirava a superare le forme contrattuali troppo precarie. Risultato: i ricercatori italiani non avevano più un inquadramento idoneo per accedere ai fondi, come denunciato in una lettera firmata da figure di primo piano, come il premio Nobel Giorgio Parisi.
Chi potrà essere assunto con i nuovi contratti
Per rimediare a questo vuoto, l’emendamento approvato ha introdotto due nuovi strumenti:
- Incarico di ricerca: rivolto a chi ha conseguito da non più di 6 anni una laurea magistrale. Ha durata da 1 a 3 anni, sotto la supervisione di un tutor, e può essere attivato dalle università. Non è compatibile con la frequenza di corsi di dottorato o con altri incarichi di ricerca e incarichi post-doc.
- Incarico post-doc: accessibile ai dottori di ricerca, ha anch’esso durata da 1 a 3 anni. Prevede attività di ricerca, ma anche didattica e terza missione. La retribuzione sarà fissata per decreto, ma non potrà essere inferiore a quella di un ricercatore confermato a tempo definito (ovvero 13 mensilità e Tfr). È incompatibile con altri rapporti di lavoro, assegni di ricerca o posizioni da ricercatore a tempo determinato.
I ricercatori: «Contratti confusi, precari e nati per tamponare»
Secondo Raffaele Vitolo dell’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia si tratta di una «soluzione asistemica e disarmonica». «Abbiamo utilizzato l’assegno di ricerca per i progetti Marie Curie in regime di deroga, una pratica che si è protratta fino a gennaio 2025, quando l’Italia si è finalmente allineata alle direttive dell’Ue, ponendo fine a tutte le eccezioni. In realtà, l’assegno sarebbe dovuto scomparire già nel 2022. Ora si introduce l’incarico di ricerca, che di fatto è una nuova versione dell’assegno, ma con più limiti e meno tutele. Sarebbe accettabile solo se sostituisse davvero le borse di ricerca». Ancora più critico, sempre a suo avviso, è l’incarico post-doc: «È un duplicato depotenziato del vecchio RTDa (Ricercatore a tempo determinato, ndr), abolito nel 2022. La differenza è che qui la contrattazione collettiva non c’è. Le università avranno mano libera per dare meno tutele, meno soldi e più precarietà. Non ha senso creare due figure diverse per lo stesso lavoro. Il risultato sarà inevitabilmente avere i laboratori pieni di ricercatori con lo stesso ruolo ma contratti diversi e diseguali dove le governance delle università sceglieranno il contratto che gli costa meno».
Crui entusiasta, Cgil all’attacco
Se la Conferenza dei Rettori, con la presidente Giovanna Iannantuoni, ha visto il provvedimento come «una svolta strategica per il sistema italiano», il sindacato Cgil è su tutte le furie. Per Gianna Fracassi, segretaria generale della Flc Cgil, i nuovi incarichi sono «due figure precarie» che «ripropongono in salsa diversa l’assegno di ricerca e l’Rtda», violando lo spirito stesso della riforma Pnrr che puntava alla stabilizzazione. «Questo intervento contraddice palesemente una milestone del Pnrr, contenuta nella legge 79/2022 che aboliva l’Assegno di ricerca e prevedeva un’unica figura post-doc: il Contratto di ricerca. È il primo atto legislativo che smonta una riforma del Pnrr attraverso un emendamento in commissione, senza una piena valutazione politica della gravità della decisione intrapresa e, soprattutto, determinando l’effetto di peggiorare la condizione dei ricercatori precari», commenta la dirigente sindacale. Secondo quanto si apprende, però, l’emendamento è passato prima dalla task force Pnrr della Commissione europea, che ha dato l’ok. L’associazione Dottorandi fa sapere che chiederà un colloquio con la Commissione sul tema.