Università, la beffa italiana per i ricercatori vincitori del bando europeo: «Così lo Stato mi premia con la precarietà»


Quando a febbraio 2025 Chiara Suanno, ricercatrice in biologia molecolare, ha ricevuto la comunicazione della sua vittoria nella competizione europea «Marie Curie – Global Postdoctoral Fellowship», ha pensato che finalmente fosse arrivato il momento della svolta per la sua carriera. Con un progetto in vista tra Nottingham, Zurigo e un ritorno in Italia, si aspettava che le venisse proposto un contratto da Ricercatrice Tenure-Track (noto come Rtt): una posizione a tempo determinato, non rinnovabile, che prevede la possibilità di accedere al ruolo di professore associato. In altre parole, l’inizio di una carriera più stabile nel mondo della ricerca. E invece, la doccia fredda: nessuna stabilizzazione in vista, «solo un nuovo contratto precario», denuncia a Open.
Per questo, Chiara Suanno, assieme ad altri vincitori e vincitrici del bando Marie Curie, ha scritto una lettera pubblica aperta contro l’emendamento Occhiuto-Cattaneo del Dl Pnrr Scuola, che da ieri è diventato legge. Nel mirino dei ricercatori c’è l’introduzione di due nuove figure contrattuali: l’incarico di ricerca e l’incarico post-doc, presentate dal governo proprio come una risposta alle esigenze dei vincitori Marie Curie, ma ritenute da questi ultimi strumenti di ulteriore precarizzazione. «Hanno reintrodotto figure fortemente precarie per pagarci poco o niente», hanno denunciato ieri i ricercatori in protesta davanti a Montecitorio con maschere bianche in volto e un cartellone firmato da oltre 2mila docenti, assegnisti di ricerca e ricercatori.

Il nodo della denuncia della ricercatrice
«Abbiamo vinto un bando europeo prestigioso, molto selettivo, e pensavamo fosse l’inizio di un percorso verso una posizione stabile. Invece per via del definanziamento statale le università ci hanno potuto offrire solo altri contratti temporanei, e intanto il Ministero usa il problema della contrattualizzazione delle Marie Curie per introdurre nuove forme di precariato», afferma Suanno. La ricercatrice si riferisce all’emendamento Occhiuto, ideato dal governo per compensare l’abolizione dell’assegno di ricerca, che in Italia era finora lo strumento principale per inquadrare i giovani ricercatori.
La sua eliminazione aveva suscitato polemiche nella comunità scientifica. Alcuni ricercatori, tra cui il premio Nobel Giorgio Parisi, aveva avvertito: senza un contratto formale, i ricercatori italiani non possono partecipare ai bandi europei Marie Curie. Per rispondere a questo allarme, il governo ha deciso di introdurre due nuove forme contrattuali nel Dl Pnrr: l’incarico di ricerca e l’incarico post-doc. Ma, proprio i ricercatori a cui erano destinate sembrano ora contestarle. «Ci erano già state prospettate soluzioni contrattuali più dignitose, anche se non perfette. Va precisato che il problema sollevato da Parisi riguardava i dottorandi. Ma ci sono molte altre categorie di ricercatori coinvolti nei bandi europei e, per molti di noi, i nuovi contratti rappresentano solo un passo indietro», chiarisce Suanno.
«Sperato per un contratto al bando, ce ne è arrivato un altro dopo»
«Per me, c’era la possibilità concreta di essere inquadrata come Rtt e avere quindi una forma contrattuale più tutelante, invece mi contrattualizzeranno come contratto di ricerca. E l’ho saputo dopo aver vinto il bando», spiega la ricercatrice. «Il contratto di ricerca, infatti, non sembrava applicarsi al nostro caso perché il decreto del 2022 escludeva le Global Fellowship da 36 mesi. Tuttavia, dovendo tagliare sulle spese di personale, le università si sono viste costrette a offrirci contratti per noi meno vantaggiosi».
La questione fiscale
A complicare ulteriormente la situazione, secondo Chiara Suanno, c’è anche una questione fiscale. Le borse Marie Curie Global Fellowship prevedono che i ricercatori trascorrano fino a due anni all’estero, in istituzioni ospitanti scelte per il loro valore scientifico. Per permettere ai ricercatori di sostenere il costo della vita in questi Paesi – nel suo caso Svizzera e Regno Unito – l’Unione europea adegua gli stipendi al livello locale. «Lo Stato italiano, però, tassa comunque questi compensi come se fossero percepiti in Italia, ignorando le differenze di costo e potere d’acquisto», denuncia la ricercatrice. «Il risultato è che ci applicano un’Irpef altissima e in molti casi, una volta tassato, lo stipendio che riceviamo all’estero scende al di sotto del salario minimo locale. L’Europa ci fornisce le risorse per vivere dignitosamente, ma lo Stato italiano le riduce con la tassazione. E all’estero ci troviamo a vivere con meno del necessario, senza nemmeno poter integrare il reddito con altre mansioni, perché le regole lo vietano». Per questo motivo, la biologa e molti altri ricercatori, chiedono al ministero «di non interrompere il progresso fatto con l’introduzione del Contratto di Ricerca e dell’Rtt, ma di stanziare dei finanziamenti per poter applicare le premialità e le chiamate dirette, insieme a una revisione del regime fiscale per chi svolge periodi di lavoro all’estero previsti nei bandi europei».