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Israele blocca la consegna degli aiuti a Gaza, le voci dalla Striscia: «Non ricordo l’ultima volta in cui mi sono sentita sazia»

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I racconti a Open dopo 600 giorni di guerra: «Siamo stremati, gli aiuti umanitari non bastano e l'esercito spara ai punti di distribuzione»

Il conflitto tra Israele e Iran si è temporaneamente raffreddato, ma a Gaza il dramma della popolazione prosegue senza sosta. Per i gazawi, la guerra non è mai finita: a oltre 600 giorni dal 7 ottobre, i civili palestinesi vivono ancora sotto assedio, tra raid dell’Idf, carenze estreme di cibo, acqua, e altri beni di prima necessità, e una quotidianità segnata dalla paura e dall’incertezza. «Non è facile descrivere la situazione: è molto dura. Non c’è farina, né acqua pulita, tutto è carissimo. Le bombe ci circondano in ogni momento», dice a Open Nadera Mushtha, scrittrice palestinese cresciuta nel quartiere di Shujaiya a Gaza City. «Dal 2 marzo non è entrato più nulla nella Striscia. Qualche settimana fa sono arrivati alcuni aiuti – continua – Ma solo farina». «Stiamo davvero morendo di fame, siamo fisicamente stremati e i nostri corpi sono debilitati», ci spiega Sara Awad, scrittrice e studentessa che vive al nord di Gaza. «Non ricordo l’ultima volta in cui mi sono sentita sazia – prosegue -; mangiamo solo una volta al giorno, e ci vogliono ore per riuscire a procurarci il cibo».

Giovedì 26 giugno, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato la sospensione totale delle consegne di aiuti umanitari sulla Striscia, che di fatto non sono mai davvero ripresi. La decisione è arrivata a seguito delle pressioni del ministro di ultradestra Smotrich, che aveva minacciato di lasciare il governo se non fossero stati presi provvedimenti «per impedire che gli aiuti finissero nelle mani di Hamas». Poche ore prima dell’annuncio, l’ex premier Naftali Bennett aveva diffuso un video che mostrava uomini armati su un convoglio diretti al nord di Gaza, sostenendo che si trattasse dei miliziani di Hamas intenti a sottrarre gli aiuti. Le Nazioni Unite hanno però attribuito i saccheggi a bande armate locali, e non al partito-milizia. Dallo scorso 19 maggio, quando Israele ha parzialmente revocato il blocco degli aiuti durato 78 giorni, a Gaza sono entrati soltanto 56 camion al giorno. Per l’Onu ne servirebbero diverse centinaia ogni giorno per rispondere ai bisogni urgenti della popolazione. «Gli aiuti umanitari sono fondamentali in tempo di guerra; tutti noi dipendiamo da essi per sopravvivere in questi tempi durissimi, ma il governo israeliano controlla e ci nega gli aiuti per aumentare la nostra sofferenza», afferma Sara.

La (non) distribuzione degli aiuti umanitari

EPA/HAITHAM IMAD

La distribuzione degli aiuti umanitari nell’enclave palestinese è attualmente affidata alla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), una controversa organizzazione non governativa registrata in Svizzera e negli Stati Uniti, a cui Israele ha appaltato – aggirando l’Onu e altre Ong – il sistema di assistenza umanitaria dal 26 maggio scorso. Il numero di punti di distribuzione allestiti, uno al centro e tre al sud della Striscia, è stato considerevolmente ridotto. Quelli rimasti, costruiti vicino a postazioni militari, si sono trasformati in trappole mortali: secondo l’Onu, a un mese esatto dall’inizio dell’attività, almeno 400 palestinesi affamati sono stati uccisi dall’esercito israeliano e 3 mila sono rimasti feriti. Più di dieci vittime al giorno, che si sommano a quelle del conflitto: 103 nelle ultime 24 ore, tre delle quali uccise mentre aspettavano in fila un pacco di alimenti. «Così il cibo per i civili viene trasformato in arma», ha denunciato pochi giorni fa l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha). James Elder, portavoce dell’Unicef, ha definito le scene ai centri di distribuzione come una versione reale degli «Hunger Games». In serata, il presidente della ong, Johnnie Moore ha fatto sapere di aver scritto una lettera al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres per chiedere di «lavorare insieme», poiché «è giunto il momento di affrontare il fallimento strutturale della fornitura di aiuti a Gaza e di correggere con decisione la rotta».

«L’Idf spara ai civili affamati che cercano di raggiungere i punti di distribuzione»

«L’esercito israeliano prende di mira chiunque riesca ad arrivare nei punti di distribuzione. E alcune persone prendono i sacchi di farina solo dopo moltissimi tentativi. Perché andiamo là? – si chiede Nadera – Perché abbiamo fame e dobbiamo nutrire le nostre famiglie». I prezzi per acquistare gli alimenti sono invece altissimi: «C’erano piccole quantità di riso e pasta già prima della chiusura dei valichi, ma sono carissimi e la gente non può permetterseli. I mercati ci sono, ma sono vuoti – prosegue – non c’è più nulla che possono vendere: niente carne, frutta o verdura. Nemmeno zucchero, latte o dolci», ci spiega. «Ci affidiamo al pane per nutrirci, ma un sacco di farina costa più di mille dollari». «Morte, fame, malattie, negazione e paura: questo è ciò in cui si sta trasformando il nostro amato Paese – le fa eco Sara – Una guerra senza fine, e Israele continua a ucciderci con le sue armi potenti». Intanto, l’organizzazione mondiale della Sanità ha fatto sapere di aver consegnato la prima spedizione di aiuti medici nella Striscia. «Nove camion carichi di forniture essenziali, 2 mila unità di sangue e 1.500 di plasma» hanno attraversato il territorio palestinese, ha scritto su X il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus.

Le trattative per un cessate il fuoco

EPA/HAITHAM IMAD

Nel frattempo, la trattativa per un cessate il fuoco, che include la liberazione degli ostaggi israeliani, potrebbe riprendere nei prossimi giorni. E un ruolo decisivo sarà giocato dall’interesse del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, a impegnarsi concretamente nei negoziati. I mediatori egiziani e qatarioti provano, in ogni caso, a sfruttare l’effetto della fine della conflitto tra Israele e Iran. Il portavoce del ministro degli Esteri qatariota, Majed Al Ansari, ha affermato alla Cnn che i negoziatori nel conflitto stanno sfruttando lo «slancio» della fine della guerra per riavviare i negoziati in stallo. Ansari ha affermato che Doha è stata in contatto con «tutte le parti» negli ultimi giorni per convincere Israele e Hamas a riprendere i colloqui. Intanto, dal vertice Nato de L’Aja e dal Consiglio europeo a Bruxelles è arrivato un pressing perché si ritorni al tavolo dei negoziati per il cessate il fuoco.

Ma i civili palestinesi sono stremati: dalla fame, dai bombardamenti, dalla distruzione e dalla carestia. «Tutti i miei sogni sono stati infranti in un istante, sia sul piano personale che negli studi, dato che la mia università ormai non è altro che cenere. Il dolore mi assale quando penso a me stessa o agli altri giovani che vivono tutto questo, mentre il mondo continua a guardare in silenzio», ci dice Sara. «Cerco di fare del mio meglio nonostante la guerra, ma tutto è difficile per noi – sottolinea  Nadera -. Noi giovani abbiamo bisogno di credere che questa guerra finirà, anche per poter vivere come tutti i nostri coetanei nel mondo», afferma. «Sogniamo di vivere una giornata normale, senza l’odore della morte, mangiare senza avere lo stomaco affamato, e sentire la felicità al posto della fame e della paura. Può sembrare una cosa normale per gli altri. Ma per me – conclude Sara -, è un sogno».

Foto copertina: ANSA / HAITHAM IMAD

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